Colori, sapori, ricordi Mischiati nei menu di primavera

Stefano Zaninelli ha spalancato la sua Bottega Lombarda alla primavera ed è impossibile non accorgersene perché, sulla

strada provinciale che passa davanti al ristorante di Bodio Lomnago, spicca un manifesto colorato. Il cartello, apparso proprio con il cambio della stagione, annuncia un nuovo menu ricco di prelibatezze, tutte all’impronte della genuinità

e della miglior materia prima. Elaborata dallo chef in rispetto

della tradizione lombarda ma anche in ossequio all’estro della sua irrefrenabile e al tempo stesso ordinata classe.

Gli consegniamo volentieri la penna per farci guidare alla scoperta dei segreti della sua nuova carta: una partitura solida

e trascinante in cui è la carne a recitare un ruolo da solista.

Stagionalità è la parola chiave deve essere nella testa e nel cuore di ogni ristoratore. Io cerco di rispettare le date che segnano i cicli del calendario, non per omaggiare un freddo cerimoniale ma per celebrare i prodotti della natura disponibili

nei diversi periodi dell’anno. Parto sempre dalla frutta e dalla

verdura dell’orto perché è innanzitutto da qui che si estrapolano i piatti. I fornitori sono fondamentali come l’Ortofrutticola Lombarda: si trova a Gazzada, eppure è sempre al centro del mondo perché porta sulle tavole di tutto il pianeta i nostri funghi e la migliore frutta e verdura italiana. I sapori che derivano dall’incontro con la materia prima si sposano ai colori che la primavera porta con sé. Il verde ispira l’idea di primizia e nel piatto lavoro proprio partendo dalle tonalità. Asparagi, piselli, fave, barbabietoline, i primi pomodorini: la natura diventa la musa per innalzare l’ode all’ingrediente che è il principe della mia tavola e cioè la carne. Anche in questo caso, seguo il principio della stagionalità e se la

Pasqua non è lontana, non mancano agnello, capretto o maialino da latte con cotenna croccante. Ma non mi dimentico mai una chicca per veri intenditori: le guance di manzo da fare arrosto. I profumi dell’orto, come quelli del timo, del cerfoglio o della maggiorana danno un senso ai piatti di stagione. Il cambio del menu nasce, però, da altri profumi: quelli della memoria tanto cara allo scrittore francese Marcel Proust, nella sua famosa “À la recherche du temps perdu” (Alla ricerca del tempo perduto). Se al protagonista di

questo capolavoro basta assaporare una madeleine per ricordarsi le giornate d’infanzia, io cerco di rivivere le esperienze vissute da ragazzo per rimetterle nel piatto e condividerle con i miei clienti.

Ricordo due contadini di Casale Litta che io e i miei amici eravamo andati a trovare una domenica: alle nove di mattina, avevano messo a cuocere il maialino da latte che alla sera abbiamo gustato con il suo delizioso sughetto e con delle ottime patate. Allo stesso modo, ho ancora in bocca il sapore dello stinchetto di agnello o di capretto che mio papà Athos, seguendo le orme di nonno Bruno, macellaio esperto, mi preparava con menta e timo per addolcire il sapore di quella carne tenera.

Quando si rinnova il menu non ci sono però solo suggestioni del passato a suggerire la via. Spesso dei piatti ti arrivano in testa insieme a nomi evocativi che poi faccio trovare in carta al cliente, quasi sempre incuriosito. Volete qualche esempio? Parto da “L’uovo e la gallina”. All’interno di uno stampino per crème caramel, metto l’uovo, bardato da pancetta di Varzi stagionata 18 mesi: una volta rotto, lo condisco con

sale, pepe, parmigiano, una noce di burro e sopra ci metto gli asparagi. Cotto in forno per 78 minuti, in modo da tenere il tuorlo crudo, lo giro infine sulla pasta tusca kataifi, che è a forma di paglia e dà l’impressione del nido della gallina. Un altro esempio è “Il ricco e il povero”. Taglio a metà una patata,

la svuoto e la riempio con una farcia in cui ci sono parmigiano, sale e pepe. Faccio gratinare il tutto

in forno e poi ci aggiungo sopra una scaloppa di foie gras scottato in padella e condito con la sua salsina

di cottura e cipolle rosse di Tropea caramellate. Parlandovi del primo piatto, ho citato la pancetta di Varzi stagionata 18 mesi. Anche la ricerca dei migliori salumi è in linea con la filosofia del mio ristorante, orientato verso l’eccellenza. Per ottenerla i fornitori sono fondamentali come il Salumificio La Scaletta,

di due fratelli artigiani che hanno costruito un vero laboratorio del gusto nell’Oltrepò Pavese. Utilizzano maiali pesanti per produrre la pancetta, la coppa e il celeberrimo salame di Varzi, a grana grossa e fatto con le parti più nobili. Questo è stato il primo insaccato italiano ad avere la Dop e in pochi sanno che ha solo il 18 per cento di grasso. È poco salato anche perché Varzi si trova sullo stesso parallelo di Genova e l’aria marina influisce molto su questo prodotto tutto naturale. Come il culatello di Zibello che siamo andati

proprio noi a legare in quel di Colorno tre anni fa. Ma questa è un’altra storia di cui avremo modo di parlare più a lungo.

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