Musica per lavoro e passione: l’arte di apprendere e insegnare di
La vita della cantante varesina è costellata di tante tappe che hanno come comune denominatore le note.
Dai palchi calcati con il Distretto 51 al conservatorio iniziato quando gli altri di solito pensano di essere già arrivati e portato a compimento con determinazione; dal cantare in chiesa o all’asilo da quando aveva 5 anni ai concerti col pancione fino alla scoperta di Billy Strayhorn.
«Quando canto, e sono dentro nella musica – racconta Giusy – è come se fossi proprio me stessa. Dimentico qualsiasi cosa. Potrei avere la casa pignorata e non me ne ricorderei. Potrei avere tutti i dolori del mondo – come mi è capitato – e non li sentirei fino alla fine. Con la musica ascolto la mia anima. Mi piacerebbe che tutti trovassero quel momento in cui sono loro stessi».
Una sorta di stato di grazia nel quale riconoscersi non solo per carriera o professione.
«Alle mie allieve, anche a quelle che in un angolo della testa puntano al successo, dico di costruire qualcosa per sé, per migliorare. Non importa se canteranno in casa per la famiglia o con una piccola band di paese, come capitato a me agli inizi. L’importante è farlo per sentirsi bene».
“You got a friend” è il magico brano che ha trasformato la passione in una professione, per l’artista nata e cresciuta a Porto Ceresio.
«A 19 anni ho cantato quel brano per il compleanno di un’amica che festeggiava in discoteca. Il gestore mi ha proposto di fare piano bar nel suo locale, mettendomi in contatto con Giuseppe Reggiori, allora giovane e promettente pianista».
Così è iniziata una carriera trentennale.
«Quello stesso periodo è iniziata anche la mia formazione», quella che si apprende sul campo.
«Ho trovato artisti generosi che mi passavano cassette, vinili o partiture. Ho cominciato con Marco Caccianiga e i Cubacaribe, poi tanti musicisti diventati tutti professionisti e con piccole formazioni jazz che hanno annoverato figure come Oscar Trabucchi o Massimo Spocca che hanno portato in alto il nome dei varesini».
Il mitico Splash di Induno Olona ha tenuto a battesimo la svolta jazz di Giusy.
«Allora Renato Bertossi che gestiva il locale, dava spazio alle giovani band».
L’attitudine per il jazz «credo di averla sempre avuta. Papà mi faceva vedere i musical degli anni Cinquanta e ascoltare molto standard jazz».
Si è confrontata col rhythm and blues, come accadde col Distretto 51 per «12 anni di folle divertimento» poi è tornata al jazz, scoprendo anche la bossa nova.
Nessuna grande ribalta, seppur ci siano state le giuste occasioni, ma la scelta di stare semplicemente di fronte al pubblico con una dose massiccia di umiltà. E nel frattempo lavori diversi insieme alla scelta di diventare moglie e mamma.
«Pensavo che per insegnare fosse necessario costruirsi un ampio bagaglio, anche a livello teorico».
È stata Jasmine La Bianco, famosa docente di Varese, a spingerla ad un passo in più. «Mi ha detto che avrei dovuto fare il conservatorio». Una scelta indicata visto che «per il jazz non basta saper cantare, ma bisogna diventare musicisti e saper usare il proprio strumento».
Col conservatorio è arrivata l’occasione anche di insegnare. «Prima non lo avrei fatto, ma con nozioni e consapevolezza maggiori ho colto l’opportunità».
Una ripartenza che si è rivelata una sfida, conclusa felicemente un mese fa per l’insegnate dell’accademia Solevoci di Varese. «Ho fatto la tesi su Billy Strayhorn, un autore e pianista meraviglioso. Tra gli anni Trenta e Cinquanta, è stato importantissimo nella storia del jazz, pur essendo poco conosciuto perché per 30 anni ha collaborato con Duke Ellington, dietro le quinte, scrivendo milioni di standard».
Ne è nato anche un progetto lavorativo. «Per preparare la tesi mi sono circondata di musicisti eccezionali: Michele Franzini al pianoforte, Alex Orciari al contrabbasso, Roberto Paglieri alla batteria e Rudy Manzoli al sassofono. Spero di farne uscire un disco e poi vorrei cercare di promuoverlo per i jazz club nei dintorni. È tutto in divenire, ma si sa che col jazz è così».