«Voglio darle la possibilità di confessare». Masi avvale invece della facoltà di non rispondere. Intanto il gip di Varese ha accolto la richiesta della procura generale di riesumare il cadavere di : la salma sarà dunque sottoposta a un nuovo esame autoptico. La data per la riesumazione non è ancora stata fissata, martedì a Varese, però, si terrà l’udienza in sede di incidente probatorio per l’assegnazione degli incarichi ai periti.
Ieri, invece, è durato un’ora
e mezzo circa l’interrogatorio del quarantanovenne di Brebbia, arrestato il 15 gennaio con l’accusa di aver ucciso la studentessa varesina, violentata e assassinata il 5 gennaio 1987 e ritrovata cadavere il 7 dello stesso mese al limitare dei boschi del Sass Pinì di Cittiglio, davanti al sostituto procuratore generale di Milano , che coordina l’indagine. Manfredda è arrivata a San Vittore qualche minuto dopo le 14 di ieri. Un breve colloquio sarebbe intercorso tra Binda e il sostituto pg prima dell’inizio dell’interrogatorio vero e proprio.
Manfredda avrebbe voluto dare a Binda la possibilità di confessare. “Io credo che il pubblico ministero sia convinta della colpevolezza del nostro assistito e abbia voluto, con questo interrogatorio, dargli la possibilità di confessare e di alleggerire in qualche modo la propria posizione. Umanamente è un comportamento apprezzabile», ha commentato brevemente , coodifensore di Binda con l’avvocato . Dunque Manfredda avrebbe voluto dare un’occasione al quarantanovenne che si è invece avvalso della facoltà di non rispondere. Di fatto Binda dal momento dell’arresto non ha mai parlato: si è avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia davanti al gip Anna Giorgetti. Davanti al pubblico ministero si era già avvalso due giorni dopo l’arresto e ieri non ha assolutamente abbandonato questa linea.
Manfredda, oltre ad aver contestato a Binda ancora una volta tutto ciò che è già agli atti, ha chiesto al brebbiese di nuovo delle lettere. Binda ha sempre negato di aver mai scritto alcuna lettera anonima alla famiglia Macchi: non è lui, questa la sua versione, l’autore di “In Morte di un’amica”, la missiva recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987, giorno dei funerali di Lidia, che 29 anni dopo il delitto , l’amica di allora, gli ha invece attribuito, e della seconda lettera anonima, arrivata a casa Macchi a fine 1987 resa pubblica dalla famiglia stessa nei giorni scorsi, non saprebbe nulla.
Nella missiva una “mamma addolorata” che registra conversazioni con gli spiriti avrebbe avuto un colloquio con Lidia.
Il Dna estratto dalla busta è femminile, Binda non è l’autore e in ogni caso nulla saprebbe di quello scritto. La via della confessione, in ogni caso, parrebbe al momento sbarrata.
Binda, molto dimagrito dopo l’arresto, ma sempre serenamente in attesa della conclusione delle indagini ha sempre detto di essere innocente. Perché dovrebbe confessare? «Io credo, ma è mia personale opinione – dice Martelli – che si ipotizzi che serbando da anni un segreto tanto orribile un uomo, alla fine macerato dalla colpa, voglia ad un certo punto sgravarsi la coscienza. Ma non è questo il caso».