Che cosa faccio adesso? Guardo un sacco di calcio». Rolando Maran, una stagione epica sulla panchina del Varese – quella della finale playoff persa contro la Sampdoria -, lo dice ridendo. Come chi, ai box dopo un’annata nefasta al Catania (lui esonerato e poi ripreso e poi riesonerato, la squadra retrocessa in B), non è che al momento abbia molta scelta.
«Per fortuna – prosegue l’ex tecnico biancorosso – sono una specie di onnivoro di calcio. Guardo di tutto, più giocatori e squadre possibili. Sono molto curioso».
No. Mi interessa perfino ciò che è lontano dal mio modo di vedere le cose. Cerco di imparare da tutto. Se non mettessi in discussione le mie idee, sarebbe un po’ come chiudere i battenti.
Io analizzo tutte le mie esperienze, anche quelle positive. Più che di pentirsi, c’è da fare tesoro di tutto. Anche se due situazioni uguali identiche non si presentano mai.
Molto presto. Manco da un bel po’ e prometto che verrò.
Il senso di familiarità che ha avvolto me e la squadra per tutto quell’anno. Al di là degli amici, credo che uno torni a Varese per quella sensazione lì.
Sarà un Varese battagliero, che punterà sull’aggressività, sull’ordine e sull’organizzazione. Stefano è un uomo così, pragmatico, ordinato, mai sopra le righe.
Su se stesso. È preparato, è una brava persona: se non cerca di essere qualcun altro, andrà lontano.
Diciamo che lo conosco bene, al Catania l’abbiamo fatto esordire in serie A da titolare l’anno scorso contro la Lazio, all’Olimpico. Secondo me, ha doti incredibili.
Buon fisico, grande forza, soprattutto aerobica, ottima tecnica. È un giocatore cui sulla carta non manca nulla.
Ma gli serve giocare con continuità. Per riuscirci, devi calarti nei panni giusti, quelli del club e della categoria. Devi guadagnarti la stima di mister e compagni. E farlo con costanza. Come sempre, l’aspetto mentale prevarica tutto il resto.
Non sono nella testa di Rivas, ma immagino che gran parte della decisione sia figlia del fatto che al Varese si è trovato bene. Se no, in un posto non ci torni.
Vedo il Catania, per ragioni tecniche, una spanna sopra tutti. Poi sarà la solita bagarre, con continui saliscendi e porte girevoli che portano su e giù nel giro di poche partite.
Lo spirito di cui parlavo prima. La familiarità che si percepisce a Masnago e in città è un tesoro che è a monte dei successi sul campo. L’ordine dei fattori è: lo spirito di club e città fa vincere la squadra.
Per me questo spirito è un patrimonio da difendere, non una cosa da sfruttare. Mi spiego: è chi arriva al Varese che si deve mettere a disposizione di questo patrimonio. Io sono convinto che, nella nostra incredibile annata, fu proprio ciò a fare la differenza.
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