«Tagli alla sanità? Ci fanno paura. Dovremmo chiudere i servizi».
Ad affermarlo è il vicepresidente e assessore alla salute , intervenuto all’università Cattaneo di Castellanza in occasione della giornata di apertura della prima edizione del corso “Gestire il paziente complesso: Appropriatezza e Competence”, promosso dalla Liuc (tramite il Crems – Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale) insieme a Fadoi, ministero della Salute/Agenas, università Campus Bio-Medico di Roma e università Bocconi.
«Io francamente spero che non ci saranno questi tagli annunciati del 3% sui fondi ministeriali – sottolinea Mantovani, di fronte ad una platea qualificata di direttori di dipartimento, di struttura complessa, di struttura semplice a valenza dipartimentale e direttori sanitari – sono sempre stato contrario ai tagli lineari e a maggior ragione protesto in questo caso. Perché non si po’ trattare la salute al pari di qualsiasi altra materia di competenza del governo». Le cifre sono impietose, anche per la Lombardia che pure nell’ultimo accordo Stato-Regioni (il “patto per la salute”) aveva spuntato 506 milioni di euro di risorse in più grazie all’applicazione dei costi standard.
«Oggi il fondo sanitario nazionale ammonta a 109 miliardi di euro – sottolinea il vicegovernatore – se venisse confermato il taglio lineare del 3%, la riduzione di risorse sarebbe superiore rispetto al beneficio ottenuto grazie ai nuovi costi standard».
«Significherebbe chiudere servizi, visto che tra sprechi e risparmi si sta già facendo molto. Pensiamo ad esempio al fatto che il tasso di sostituzione del personale che va in pensione si aggira già oggi in Lombardia attorno al 40-45%».
Anche alcune delle proposte di razionalizzazione annunciate dal ministro «in Lombardia sono inattuabili. Come la chiusura degli ospedali con meno di 50 posti letto: non ne abbiamo nemmeno uno, e il più piccolo ospedale della provincia di Varese (Cuasso al Monte, ndr) ha 58 posti ma non possiamo certo chiuderlo a meno di rivoluzioni nelle valli».
Insomma, a Mantovani «la minaccia» dei tagli «fa paura», e provocherebbe «danni al sistema sanitario lombardo e ai cittadini».
Ma al di là di quel che deciderà Roma, le prospettive per il futuro sono segnate. «Non saranno più soldi, ma se va bene gli stessi di oggi – fa notare l’assessore regionale – ecco perché la riforma della sanità dovrà cambiare prospettiva, con l’obiettivo di coniugare qualità, appropriatezza e risparmi». Il dato da ribaltare è quello del 30% di acuti che si “mangiano” il 70% del bilancio della sanità lombardo. La linea tracciata dalla riforma varata dalla giunta Maroni, la cui «prima bozza – annuncia Mantovani – domani sarà firmata dalle parti sociali», è all’insegna del principio «meno ospedale, più territorio», con una razionalizzazione del sistema.
«Ci saranno 10-12 ospedali-hub di riferimento, dove si concentreranno ricerca e alte specialità – rivela l’assessore – e poi ospedali di rete ogni 100-150mila abitanti con tutte le specialità di base e i Pot (presidi ospedalieri territoriali) in cui potremo ad esempio tornare a vedere i medici di base rimettere il camice in corsia. Sul territorio ci saranno aggregazioni territoriali e unità di cure primarie, con studi dei medici di base aperti tutto il giorno e dedicati anche al primo intervento per sgravare i pronti soccorsi. E le Asl diventeranno “agenzie per la tutela della salute”, anche se il nome non piace all’assessore Cantù, riferite ad ambiti territoriali da un milione-un milione e mezzo di abitanti: faranno solo programmazione e non più erogazione di servizi».n
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