In cinque anni di serie B c’è stato un unico campo dove abbiamo capito prima del via che la squadra ospite non sarebbe mai riuscita a passare: il Franco Ossola. E, in particolare, il Franco Ossola quando giocava il Varese di Sannino (e prima di Fascetti) che faceva leva su un senso di radici e difesa del proprio territorio («Questa è casa nostra e comandiamo noi») mai più raggiunto dai suoi successori.
Né Marassi, né l’Olimpico di Torino, né la Favorita, né il Partenio, né l’Armando Picchi con quei muri umani in curva hanno mai fatto la differenza o paura al Varese, come invece riesce a farla lo stadio più vecchio, sperduto e leggendario del mondo. Disse un giorno Carlo Soldo dopo avere battuto il Treviso 1-0 in serie C2 con il Varese più povero e fallito di sempre, giocatori che vivevano con i borsoni della spesa conservati in macchina e nei divani letto comuni dei pochi che avevano ancora una casa: «C’erano cinquecento tifosi ma sembravano cinquantamila. Faceva così freddo ed era talmente buio che non vedevamo nemmeno la pochissima gente sugli spalti. Eppure sembravano lupi o vampiri. Quando sentono che il Varese può morire, questo stadio diventa uno scannatoio». Peo Maroso aggiunse una volta, prima di entrare a Masnago per una partita che sembrava già persa in partenza con la Spal, poi fregata da un pallone destinato in fondo alla rete del Varese fermatosi miracolosamente in una pozzanghera presente sulla linea di porta difesa da Fadoni: «Uno pensa di venire a giocare in uno stadio e invece si ritrova dentro una cartolina senza tempo dove sopravvive una forza magica, un vento, un estremismo dettato anche dall’asprezza della montagna e degli spalti. Il Franco Ossola, per chi ci entra da lontano, è un muro che ti piomba sulle teste e le fa girare perché non riesci a prendergli le misure, magari sembra che non ci sia nessuno ma quei gradoni in realtà hanno un’anima e i fucili spianati».
Nessuno ha il pubblico del Varese: sa sempre scegliere il tempo e il momento in cui morire per la squadra. Dalla partita con il Trapani passa un pezzo della nostra vita in serie B: lo sa anche chi ha criticato e fischiato per troppo amore, solo perché non accetta di vedere il Varese sul fondo e deve trovare un motivo (un colpevole) per farsene una ragione. Ne riparliamo sabato sera, quando tutti assieme – curva, distinti, tribuna – lo avremo tirato fuori dal buco. Viviamo uniti e al limite solo per il Varese, sacrificando tutto il resto, e domani non c’è partita.
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