«La Pro è radici. Un simbolo da far brillare. Tutti insieme»

Bustocco dell’anno è Patrizia Testa, la presidente che ha riportato i Tigrotti a parlare bustocco. Un progetto concreto: «Sogno che solo la metà dei cittadini di Busto metta 20 euro per sostenere la Pro Patria»

Ladies and gentleman, ecco a voi il “Bustocco dell’Anno 2016”: Patrizia Testa, la presidente che ha riportato la Pro Patria a parlare bustocco. Dopo un anno di transizione come socio di minoranza, chiuso nel peggiore dei modi con la retrocessione, lo scorso maggio, Patrizia Testa ha preso in mano le redini del club biancoblù, diventandone l’azionista di maggioranza e la presidente. E in questo inizio di stagione in serie D, sta riportando l’entusiasmo e la gente allo stadio “Speroni”.

L’exploit delle otto vittorie consecutive è stata la benzina che serviva per riportare il sereno in casa Pro Patria, con lo sguardo rivolto ai playoff di categoria per sognare il ritorno tra i professionisti. Ingredienti più che sufficienti, uniti alla grande passione e generosità e alla straordinaria storia di donna di sport, ma anche di mamma di due figlie (Francesca e Stefania, 23 e 20 anni), imprenditrice (nel settore immobiliare, eredità del papà Luigi) e persino insegnante di sostegno (all’Ipc Verri di Busto Arsizio, dove segue un ragazzino down di nome Andrea, che quest’anno farà l’esame di maturità), per far meritare a Patrizia Testa la copertina de “La Provincia di Busto” come “Bustocco dell’Anno 2016”.

Questo mio buttarmi a capofitto nella Pro Patria è determinato dal legame con le radici. La Pro è una radice di Busto Arsizio che, rischiando di fallire, rischiava di disperdersi. Il fatto di avere iniziato lo scorso anno con scarsa esperienza nell’ambito della gestione societaria sportiva, mi ha penalizzato, visto che mi sono ritrovata affiancata a persone non motivate dalla mia stessa passione. Ora che ho preso possesso della materia, trovando tra l’altro un settore giovanile disastrato da persone che lo usavano non nell’interesse dei ragazzi ma per fare cose sconvenienti, sto cercando di ricostruire un ambiente sano dove fare sport è la priorità. E con i pochi soci che ho, sto cercando di proseguire per non disperdere quello che abbiamo fatto finora.

Sì, a partire dalle persone che vengono allo stadio. I nostri tifosi arrivano a svuotarsi le tasche pur di seguire la squadra, e mi piacerebbe che da parte di tutta la città ci fosse questo stesso spirito per tenere viva una società che, in fondo, rappresenta Busto nel mondo. Quella maglia è la più bella del mondo, insieme a quella del Celtic.

Un simbolo che è stato fatto sbiadire ed offuscare. Da cose che non dovrebbero mai avvicinarsi al calcio. Purtroppo c’è ancora molta diffidenza attorno alla Pro Patria, ma io, da bustocca attaccata alla mia città, allo sport della mia città e alla squadra di calcio della mia città, ci metto la faccia per dimostrare come si possa andare avanti per fare sport come si deve, e per portare la città di Busto nella categoria calcistica che le compete.

Cerco persone del territorio per poter portare avanti questo progetto. Solo rispetto ad un anno fa è percepibile la pulizia e l’onestà, ma per proseguire con questa serietà e quotidianità di lavoro, una società costa, e non posso pensare di andare avanti da sola. È un’occasione, anche per chi non è appassionato di calcio, se pensiamo all’idea di contribuire a dare a Busto uno spazio vitale per fare calcio, considerando che l’amministrazione si sta attivando per completare il progetto dei campi di allenamento. La città, nelle persone che vengono allo stadio, mi sta mostrando una considerazione incredibile. Quel che manca sono le aziende, che non hanno ancora capito che il calcio serio e pulito può essere un veicolo promozionale. Paghiamo tantissimo l’immagine del passato, ma adesso c’è una persona che ci mette la faccia e che da Busto non può certo scappare, perché è la sua città.

Sogno che solo la metà dei cittadini di Busto metta 20 euro per sostenere la Pro Patria. Se penso che l’associazione “Noi del Tosi”, di cui sono stata una delle prime iscritte, ha in tutto seimila soci, mi chiedo se non sia possibile per la Pro Patria mobilitare le energie di chi ama la Pro Patria per sostenere un progetto che è all’insegna dello sport sano e pulito. Del resto, lo sa perché ho deciso di intraprendere questa avventura, no?

Io ho due figlie, tifose sin da piccoline, abbonate con il loro papà nei popolari coperti. Vedendo mia figlia che piangeva quando la Pro Patria retrocedeva ed era disastrata dal fallimento e da tutte le traversie che sono successe, mi sono rivista quando ero piccola e, quando la mia Juve perse un derby con il Toro, andavo a piangere sotto il letto di mia madre. Ecco perché nel nostro piccolo stiamo facendo quello che è nelle nostre possibilità per tenere in piedi questo simbolo.

Mi sono sempre affiancata a strutture come Il Piccolo Principe e Progetto Pollicino (comunità per minori, ndr). Da lì portavo i ragazzini a giocare a calcio in tutte le società di Busto. Ho sempre avuto questo attaccamento allo sport e all’importanza di seguire i ragazzini che facendo sport possono togliersi da altri rischi. È anche fondamentale che dal vivaio crescano giocatori per la prima squadra. E poi…

Lo ripeto sempre: mi sarebbe piaciuto avere un figlio maschio, che facesse le giovanili della Pro Patria per poi essere destinato alla Juventus. Così ora ogni ragazzo che accompagno all’allenamento è un po’ come se fosse un mio figlio adottivo.

A 5 anni con il mio papà Luigi che mi portava per mano allo Speroni: quella sera c’era la Juventus per un’amichevole e a fine partita strinsi la mano a Helmut Haller, a cui i tigrotti avevano fatto un ginocchio grosso così…

Sì, per la Pro Patria e per la Juventus. La più grande ad un anno e mezzo era già tesserata in tribuna family a Torino. Quando segnava Luca Vialli gridava e, prima di andare a dormire, con la preghierina ripeteva la formazione della Juve..