È morto lunedì all’età di 68 anni Guido Elmi, produttore discografico, musicista, arrangiatore e art director, strettissimo collaboratore di Vasco Rossi dal 1980. A lui, per esempio, si deve la produzione di un album insindacabilmente rivoluzionario come “Bollicine”.
Grande amico nonché vicino di casa di Lucio Dalla collaborò anche, tra gli altri, con Alberto Fortis e gli Skiantos. Ieri l’ultimo saluto nella sua Bologna.
Lo chiamavano Steve Rogers, o forse fu davvero lui ad inventarsi quello pseudonimo perché la convivenza con quel “mostro” che aveva pesantemente contribuito a creare, Vasco Rossi, era diventata qualcosa di difficile da sostenere. Da sopportare. Da mandar giù. Perchè lui sognava i Pink Floyd e “un posto dove andare”. Ma adesso Steve Rogers non suonerà mai più e là dove si vola quando si smette di esistere potrà davvero e finalmente essere solo Guido. Guido Elmi.
Si è spento nella sua casa all’improvviso, anche se la malattia era diventata scomoda compagna di strada da due anni. E ieri una Bologna infuocata come la passione che ha instillato con il suo lavoro per una vita l’ha salutato per l’ultima volta.
Chi era Guido Elmi? Il produttore di Vasco, dice la didascalia più gettonata. Ma in realtà era molto di più. Un musicista, ma anche un grande conoscitore della musica. Un esteta. Un metallaro nell’anima che amava vestire da dandy. Il re del bosco di un piccolo paese. Era un uomo. Un uomo vero. Autentico. Con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, che forse lo facevano passare per antipatico, burbero e scontroso ma che in realtà non significavano altro che essere stato sempre e solo fedele a se stesso.
Osannato ed incensato, oggi. Pianto da tutti, per primi quei leoni che erano soliti riempire la sua pagina Facebook di critiche pretestuose su scalette, arrangiamenti e chi più ne ha più ne metta. E lui rispondeva. Liquidando chicchessia con la merce che meritava di ricevere in cambio.
Eppure non si può dimenticare di quando gli diedero del traditore dopo che se ne andò da Vasco e gli portò via la band. Del guastafeste quando tornò e produsse Gli Spari Sopra, pietra miliare della produzione vaschiana. O del “bollito” quando uscí Stupido Hotel e il popolo bue non capì che quella “roba” era il futuro. O ancora, quando gli contestarono una per una le setlist dei concerti di Vasco, senza considerare il fatto che sul palco non si muove foglia che Rossi non voglia.
Ma è lo sporco gioco della vita e della morte: giudicare. Sempre, comunque e a prescindere. Sta di fatto che il signor Guido Elmi non si è mai arreso. Mai fermato. Mai abbattuto. Prova ne è il suo primo disco solista che ha pensato bene di incidere alla veneranda età di 67 anni buttando in musica una vita intera di riflessioni e influenze. E oggi quell’album, “La mia legge”, suona beffardamente come un delicato, sincero, puro e struggente testamento.
Con la voce ruvida di un Elmi in versione crooner che si guarda allo specchio («Volevo vestire bene/ come un banchiere/ non perdermi mai niente/ ora penso al figlio che non ho»), si racconta («Giocavo in un cortile/ la rabbia che cresceva/ ma per tornare forte/ dovevo aspettare»), fa i conti con se stesso («hai mai provato la paura di esistere?»), traccia scomodi e amari bilanci («Poi le luci della città/ irrazionalità/ odio/ niente amici e verità/ sentivo nella folla/ la noia di Baudelaire»), chiude il cerchio dei cerchi («Senza luci la mia città/ sono solo stanco/ solo musica e sobrietà»).
Forse Elmi la sua risposta definitiva l’ha avuta dal destino, e basta. In quell’inedita passerella a Modena, da artefice cruciale del successo dei successi. Il suo sorriso stretto sopra la giacca militare portata sui bermuda è l’ultima immagine che ci resta di lui. Come un Gregory Peck che voleva Johnny Cash nella sua soundtrack e invece ora se ne va così, in silenzio, nell’afa senza respiro di un lunedì d’estate.