Maynor, le sconfitte e i fatti deprecabili. Questa Varese, però, ha bisogno di uomini veri

Il commento di Fabio Gandini

Eric Maynor vuole lasciare Varese? Evviva Eric Maynor, ma solo se cambierà idea. Perché altrimenti, qualunque sia la motivazione vera del suo addio, avrà perso un’occasione come persona, prima che come professionista.

Non è facile scrivere di uno dei grandi problemi della stagione biancorossa: con una forma da ritrovare, equivocato tecnicamente nel suo assortimento con l’altra faccia della sua stessa luna (il pivot, nella fattispecie Anosike), di temperamento non certo granitico (almeno in apparenza): vedi Eric e ci leggi le 19 sconfitte, il fondo della serie A e l’eliminazione dalla coppa. Tutte in fila, come ricevute di una scommessa che nell’ intera Italia cestistica, a Varese in primis,

stanno dando per irrimediabilmente persa. E, tutto sommato, i fatti registrati finora non possono avere la pretesa di contraddire tale credenza. Ci si è messa pure la “notte dei lunghi coltelli” (beh parole…) degli Arditi: la contestazione post-Cremona, perpetrata sotto le abitazioni dei giocatori (tra cui quella di Maynor), ha spaventato il playmaker, che ha chiamato il suo agente intimandogli di brigare per allontanarlo dalla Città Giardino. Fatti, quelli di quella triste serata, che sono sintomi del clima da tregenda che avvolge la Pallacanestro Varese, fatti che – onestamente – si farebbe sempre volentieri a meno di registrare e soprattutto di vivere.

Ma giochiamo a capirci: niente di tutto quello che è successo alla Schiranna, sempre onestamente, può a nostro parere pienamente giustificare il darsi di Maynor dalla causa biancorossa. Il regista di Raeford è un professionista, ha il diritto di fare le proprie scelte e di vivere serenamente la propria professione. Ma se quello che è accaduto, pur deprecabile, diventa un pretesto per accogliere le offerte migliori che gli sono arrivate da altre squadre o per non affrontare un contesto sportivo assai complicato come quello della Openjobmetis odierna (un contesto anche da lui provocato…), allora il giudizio cambia e di molto. Perché lo spavento diventa scusa. E davanti alle scuse si può dire solo una cosa: «Prego, quella è la porta». Varese, questa Varese, ha bisogno di gente «che mangi anche la cacca». Lo ha detto l’uomo che riuscirà a salvarci.