VARESE L’opinione di Giovanni Brugnoli, Presidente Unione degli Industriali della Provincia di Varese, è sicuramente una delle più competenti ed autorevoli; ecco la sua opinione sulla situazione economica di varese, in un momento in cui l’attenzione è tutta puntata sulle grosse aziende del nostro territorio:
“Ciò che si sta verificando è molto preoccupante e anche molto doloroso per i tanti lavoratori coinvolti e le loro famiglie, ma anche per gli imprenditori. Il fatto che si tratti di imprese del territorio, con marchi affermati e con numerosi addetti, sembrerebbe fare della provincia di Varese un “caso” di particolare attenzione.
Senza voler assolutamente sottacere la gravità dei fatti, occorre però anche considerare che, nell’insieme, la situazione dell’industria varesina non va rappresentata come se fosse al capolinea. Nell’ultima indagine congiunturale diramata giorni fa dalla nostra Unione Industriali, accanto ai segnali negativi, che ci sono e che non vanno sottaciuti, si è anche dato conto, però, di un fenomeno positivo legato agli sforzi fatti da molte imprese per raggiungere nuovi mercati in quelle aree del mondo che, a differenza dell’Europa, stanno attraversando una fase di espansione della propria economia.
Nel primo semestre 2011 gli scambi commerciali varesini con l’estero sono cresciuti dell’11,6% rispetto allo stesso periodo del 2010. I paesi appartenenti all’Unione Europea continuano ad essere i principali partner commerciali per le imprese, ma sono in rapida crescita gli scambi verso i paesi in via di sviluppo. Le esportazioni del territorio verso queste aree, nel primo semestre del 2011, hanno rappresentato infatti quasi il 40% del totale dell’export della provincia. In particolare si registrano buone performance esportative verso alcuni paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina): l’export verso la Russia nel primo semestre del 2011 ha registrato una crescita del 46% rispetto allo stesso periodo del 2010, verso la Cina del 42,8%, verso il Brasile del 21%.
In contrazione, per contro, le esportazioni verso l’India (-5,7%).
Sono dati che indicano inequivocabilmente due circostanze positive.
La prima è il “darsi da fare” delle imprese nel trovare sempre nuovi sbocchi per i propri prodotti. La seconda è la qualità intrinseca delle produzioni varesine, che dimostra di essere apprezzata nel mondo.
Questa è però solo una faccia della medaglia.
L’altra è che, se crescono le esportazioni, crescono però ancor di più le importazioni. Sempre nel primo semestre 2011, esse sono aumentate del 26,8%.
Queste dinamiche nei flussi commerciali hanno portato, per la nostra provincia, ad un saldo
commerciale ancora positivo (+1,24 miliardi di euro), ma in calo rispetto al primo semestre del 2010 (-15,7%). Faccio notare che, a livello nazionale, il commercio estero nel primo semestre di quest’anno ha avuto un andamento ancor meno favorevole: infatti, il saldo commerciale, anziché
essere positivo, è risultato negativo per 22,2 miliardi di euro, valore nettamente superiore a quello del primo semestre 2010 (-15,4 miliardi).
Per ciò che concerne il forte incremento delle importazioni varesine, è anche da notare che si registra la forte crescita degli acquisti non solo da paesi in via di sviluppo, come ad esempio la Cina (+23% rispetto al primo semestre 2010), ma anche da altri che non hanno, dalla loro, il vantaggio
di avere bassi costi di produzione. Dalla Germania, ad esempio, le importazioni sono cresciute del 26%. Nell’un caso e nell’altro, si tratta di beni di consumo, mentre le esportazioni varesine all’estero sono concentrate su beni di investimento, che rappresentano il punto forte della nostra industria locale. Nel caso dei primi, il fattore prezzo è determinante. Nel caso dei secondi, contano invece di più altri elementi come la tecnologia, l’affidabilità, la puntualità, l’assistenza post-vendita,
ecc. In altri termini: sui beni di consumo soffriamo di più. Su quelli di investimento, meno, anche grazie alla nostra specializzazione e alla capacità di personalizzare, secondo le esigenze della clientela, i prodotti.
In generale, c’è però una cosa preoccupante. Si assiste purtroppo a quel fenomeno tante volte evidenziato dagli imprenditori che è la perdita progressiva di competitività esterna all’impresa dovuta al continuo rinvio di quelle riforme che dovrebbero servire a rendere nuovamente attrattiva
l’Italia: fiscalità, costo dell’energia, costi dovuti alle carenze del sistema infrastrutturale e al digital divide, costi delle incombenze amministrative, disallineamento del nostro ordinamento giuslavoristico rispetto agli altri paesi industrializzati. Per non parlare della sorte dell’ICE, che andava sì riformato per renderlo più efficiente ma non certo soppresso, lasciando le piccole e medie imprese da sole ad affrontare la penetrazione sui mercati esteri.
Nell’insieme, tutti i fattori ricordati sono una penalizzazione che con sempre più fatica possiamo pensare di compensare solo con i processi di miglioramento continuo interno all’impresa.
Le diseconomie-Paese sono troppe. Non è solo la produzione a risentirne. Lo sono anche, nell’immediato, l’occupazione nelle imprese direttamente coinvolte nelle difficoltà del mercato e in quelle dell’indotto e, nel medio periodo, l’attrattività del Paese per gli investitori esteri. Speriamo che il Governo che andrà ad insediarsi abbia più consapevolezza della necessità di interventi strutturali per ridare competitività al made in Italy, in tutte le sue espressioni”.
j.bianchi
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