BUSTO ARSIZIO Una lisca di pesce in gola e una corsa al pronto soccorso. Dove però l’attesa si protrae, in nome dei codici. E una lettrice protesta il suo caso.
Alle 13 mi sono recata al Pronto Soccorso di Busto Arsizio per una lisca del pesce conficcata in gola. A parte il fastidio e il senso di soffocamento non ero in pericolo di vita.
Sono uscita alle ore 15, dopo due ore di attesa tossendo e vomitando, quasi in pericolo di vita. È andata più o meno così.
Arrivo di corsa rantolando e una tizia con il camice verde a cui mimo il disturbo che ho mi fa entrare in una stanzetta, dove mi infila il dito, sbagliato, nell’apparecchio che misura il grado di saturazione di ossigeno nel sangue e mi dice: «Si metta tranquilla e aspetti perché non è in pericolo di vita».
Effettivamente respirando dal naso la saturazione è nella norma, i problemi se mai sono altre patologie non particolarmene leggere, che mi premuro, sempre mimando, di spiegarle. Mi indica la sala d’attesa affollata di povere anime in attesa di Caronte fra cui una ragazza morsa da un cane con una mano bluastra e un’altra piegata in due dai dolori allo stomaco.
Infermiere vanno e vengono come alla stazione, parlottano fra loro, si scambiano confidenze…
La lisca di pesce in gola prevede il codice verde perché giustamente non provoca infarti o ictus, solamente a parte il dolore, scatena tosse e crampi allo stomaco sottoponendo la muscolatura dell’apparato respiratorio a uno sforzo eccessivo per un miopatico. Tento di spiegare che se la tosse continua rischio una crisi respiratoria e la tizia mi risponde testuale: «Se capita la terremo in osservazione».
Sono allibita e riprovo a far presente che forse prevenire è meglio che curare e chiedo quanto tempo devo ancora aspettare. Un’infermiera si infila in una porta, esce dopo pochi minuti e mi riferisce di aver fatto presente la cosa al medico di cui non conosco il nome e che mi piacerebbe saperlo.
Niiente, altro tempo passa, altri rantoli, altro andirivieni di infermiere e medici.
La lettrice prosegue, raccontando anche dello sfogo della ragazza con la mano ferita. E continua.
Io ormai sono appollaiata sulla sedia a rotelle allo stremo delle forze Non protesto, non ho il fiato, ma li odio. Odio chi umilia chi già soffre, chi non ascolta i pazienti, chi ignora il rispetto, chi non deve fare questo mestiere se non a a cuore la vita delle persone…
Finché un tale mi mette in mano un foglio e mi dice di andare all’ottavo piano dall’otorino. Faccio presente che non ce la faccio a piedi e non ottengo risposta alcuna, aspetto un po’, non arriva nessuno e a fatica cerco l’ascensore.
Arrivo all’ottavo piano sorretta da una signora gentile che è salita con me e in reparto finalmente trovo personale gentilissimo e comprensivo e che dà l’impressione di sentirsi un po’ in colpa per quanto è accaduto e per il mio stato.
Li rassicuro, passerà in un paio di giorni. Arriva la dottoressa, mi fa sedere e con una pinza e una garza, impiegando cinque secondi mi toglie la lisca che nel frattempo aveva raschiato tutta la gola.
Non mi fermo nemmeno al Pronto Soccorso per essere dimessa, passo solo a salutare le ragazze ancora in attesa e torno a casa.
Ho atteso dalle ore 13 alle 15 senza che un medico mi abbia vista e stando malissimo per farmi consegnare un foglio togliere la lisca di pesce con un intervento durato cinque secondi.
Roberta Lattuada
m.lualdi
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