«Varese, firma per le donne Lavoro e famiglia siano possibili»

VARESE Lavorare ed essere madre? Difficile anche nella civilissima Varese, dove 313 lavoratrici abbiano dovuto abbandonare il proprio impiego, l’anno scorso, nel primo anno di vita del bambino.

Ma questo è solo il contorno della denuncia che lanciano da villa Cagnola, a Gazzada, i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. Il vero problema sono i “licenziamenti in bianco”. Che tradotto significa quella sorta di “ricatto” che il datore di lavoro fa ai lavoratori neoassunti (soprattutto donne, ma anche uomini) si sottoscrivere al momento dell’assuzione una lettera di dimissioni, appunto, in bianco. Firmata ma non compilata. In modo tale che, in qualunque momento, quando l’impiegato non si rivela più “utile” (donna in maternità la causa più diffusa, ma anche altri motivi) possa essere licenziato facendo passare la cosa come dimissioni spontanee. 

«Ci sono state anche cause contro i datori di lavoro – spiega Maurizio Manfredi della Uil – ma sono difficilissime da vincere. Proprio per il metodo, si tratta della parola del lavoratore contro un foglio scritto che il datore può presentare».

Una volta c’era una forma legislativa di tutela contro questa “truffa legalizzata”. «Nel 2007 era stata fatta una legge che poneva la numerazione progressiva delle lettere di licenziamento – spiega Oriella Riccardi della Cgil – quindi, a costo zero, era impossibile per il datore utilizzare la pratica dei licenziamenti in bianco. Tuttavia nel 2008, senza un
motivo valido, il governo Berlusconi ha abrogato questa legge».

«Il ministro Elsa Fornero ha promesso, dopo la mobilitazione nazionale, la reintroduzione di questa legge – spiega Carmela Tascone della Cisl – ma naturalmente non possiamo basarci solo sulle promesse, quindi, come in altre province, stiamo raccogliendo le firme per una lettera al prefetto che chiede le reintroduzione». 

m.lualdi

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