Letta, il Cav e le torte di zia Maddalena

Chissà se al nipote Enrico, in questi giorni travagliati, con il governo ormai condannato assieme al Cavaliere, saranno tornate alla mente le crostate di zia Maddalena. Che torte strepitose quelle servite una quindicina d’anni fa in casa Letta a Roma sulla Camilluccia, a due commensali assistiti dallo sguardo giuggioloso dello zio Gianni. Già, perché a gustare quelle sublimi creazioni di pasticceria casalinga c’erano ospiti importante che avevano assaporato anche i fusilli alla crema di funghi.

Intanto dissertavano di riforme costituzionali e di futuro del paese. I due illustri convitati erano Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. Il primo, segretario del Pds e azionista di maggioranza del governo Prod,i cominciava a faticare nel trattenere la sua vocazione da scorpione che punge la rana che lo sta trasportando sull’acqua. Il secondo non se la passava benissimo. Confinato all’opposizione dalla vittoria del centrosinistra alle elezioni 1996, era minacciato dal fuoco amico di quel Gianfranco Fini che, anche allora, non diceva nulla ma lo diceva così bene da lasciar presagire un futuro alla guida della nuova destra liberale, una volta ultimate le operazioni di sdoganamento.

Al Cavaliere non restava perciò che tentare di aggraparsi il nemico Massimo. Che poi tanto nemico non era, nonostante le reazioni di pancia che Berlusconi continuava a provocare in una parte del Pds.

Quello che sta accadendo in questi giorni al governo, al Pd e all’Italia deriva in gran parte da quelle crostate divorate con gusto a casa Letta. Da allora il centrosinistra non è mai riuscito a trovare una posizione decisa sul Cavaliere, fosse anche quella del salvacondotto giudiziario e aziendale che lo avrebbe messo in condizioni di governare senza alibi.. Da una parte c’era D’Alema che lo blandiva, che forniva garanzie alle reti Fininvest (oggi Mediaset) in nome dei Puffi, cartoni animanti trasmessi da Rete 4 e amati dai figli del leader Maximo. Dall’altra c’era chi organizzava referendum per togliere pubblicità ai canali berlusconiani, proclamava il conflitto di interessi e andava in tournee con i girotondini.

Oggi siamo punto e a capo. Perché le divisioni e le incertezze del centrosinistra si riproporranno quando il Senato dovrà decidere se tenersi o no il condannato B. Che magari ancora una volta troverà una “mano nemica” che lo salverà. Andasse male potrà sempre mettere in campo la Marina.

Se il centrosinistra, all’epoca delle crostate, avesse concordato una posizione chiara e univoca, oggi ci sarebbero un’altra Italia e un’altra politica. Perché allora il coltello dalla parte del manico ce l’aveva il Pds come mai non sarebbe più capitato in futuro. A furia di crostate, e della presunzione di D’Alema di fregare anche il Cavaliere assieme a Prodi, sono state poste le premesse di ciò che sta accadendo oggi.: questa sorta di difficoltà del centrosinistra a stare con Berlusconi ma anche senza di lui. Baffino, nell’immensa considerazione di sé che aveva e mantiene ancora, pensava prima o poi di assestare la puntura letale dello scorpione anche all’allora leader di Forza Italia. Che però si dimostrò una rana, oltre che dalla bocca larga, anche dalla pelle dura. E una volta passata la nottata, rovesciò il tavolo della crostata e della Bicamerale, se ne andò a braccetto di Bossi e lasciò il centrosinistra in braghe di tela. L’eredità avvelenata di quella stagione di occasioni mancate arriva oggi al Pd e al governo del nipote Enrico che si trovano davanti per l’ennesima volta al dilemma di un lontano antenato della sinistra italiana e non solo:che fare? Il rischio è quello di rimanere imbalsamati, condizione in cui si trova l’avo di cui sopra in un mausoleo di Mosca. Invece, di fronte all’ennesimo bivio nei rapporti con il Cavaliere, sarebbe il momento di battere un colpo. Il rischio altrimenti è quello dell’eutanasia di un partito fiaccato dalla guerra tra bande. E prima di lui di un governo che ha un’agenda impegnativa in cui tra l’altro è segnata in rosso la riforma elettorale. Preso atto che le condizioni poste dal Pdl («riforma della giustizia o elezioni») sono poco ricevibili, è il caso di passare all’azione. Tornare a votare con il Porcellum sarebbe devastante per il Paese che tenta disperatamente di agganciare i primi timidi segnali di ripresa.

Pensare che forse se zia Maddalena non fosse stata così brava a fare le crostate, oggi non ci troveremmo in questa situazione. Ma ormai è cotta e mangiata. Come il Pd.

Francesco Angelini

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