Varese – Vicenza 2-3: il commento di Andrea Confalonieri

State zitti e lasciateci godere Lazio - Varese

Punto A: il Varese, con i tre punti di penalizzazione in arrivo, è ultimo. Punto B: il Varese ha dato e fatto molto, andando anche oltre le sue possibilità, prima di sbagliare questa partita (l’hanno sbagliata tutti, compresi noi che avevamo esaltato Bastianoni a dismisura – perdonaci, Elia – e compresi i tifosi, passivi e distratti dalla sfida Olimpica). Punto C: il Varese ha perso in casa dopo sei mesi, trasformando la prossima sfida all’Entella di sabato nella finale-salvezza.

Conclusione dei punti A, B e C: non c’è da perdere nemmeno un minuto in lamenti, frizioni o dissertazioni di lana caprina su moduli, formazioni e sostituzioni. C’è solo il tempo di urlare forza Varese e dire: chi non vuole starti vicino ora che sei così solo e così in fondo, se ne vada, o lo cacciamo noi.
Trecento tifosi partono martedì all’alba di un giorno feriale sacrificando soldi, famiglia e lavoro per andare a chiudere con i loro corpi e il loro amore la ferita più sanguinosa in 104 anni di Varese. Torneranno là dove morirono, forse “assassinati” da Agnolin, il più bel calcio della serie B e le furie di Fascetti; torneranno nello stesso punto di una storia che sembrava finita per urlare: siamo ancora qui. La partita-mito (il mito può anche essere maledetto) di intere generazioni, la partita che ci tolse per sempre una strameritata serie A, la partita che i ragazzi hanno sentito raccontare dai padri e i padri dai nonni, la partita che non è solo una partita perché racchiude in sé l’essenza di questa maglia (la caduta a un passo dal cielo, un fuoco troppo alto ridotto in cenere) non solo ridicolizza la sconfitta con il Vicenza ma in un certo senso la esalta, la giustifica, la premia. Sfidiamo Klose, il capocannoniere di tutti i tempi ai Mondiali, e dovremmo fermarci al pressing di Pasquale Marino? Segno della croce e fuori il petto (le palle): loro mostri, noi una squadretta di 300 uomini ma dentro questa squadretta ciò che la Lazio non sa. Il senso della storia e della vita: la nostra storia, la nostra vita.
Detto ciò, al Varese manca lo spartiacque Landini che isolava la squadra dai problemi societari e dava conforto ai giocatori e a Bettinelli, che non può combattere da solo contro avversari interni ed esterni, contro i tifosi della tribuna (disgustoso quel «vaffanculo» urlato al mister da un “lord” in tribuna) e contro tutti. Pazienza: ci hanno strappato certezze e tranquillità, è la molla migliore per riprendercele.
La testa era lontana – i gol presi sono quasi comici – e può anche insinuarsi il dubbio che questa squadra, quando non è stimolata da sfide impossibili, perda l’intensità, il filo del nervoso, la sete di sangue. Altrimenti ad Avellino non avrebbe pareggiato la guerra senza i suoi fuoriclasse (Neto, Corti, Zecchin), con sette giocatori di 23 anni o meno. E poi, soprattutto in casa, non possono steccare Zecchin e Capezzi: i fili del gioco nascono o muoiono (come ieri) in loro.
Giocano male tutti ma qualcuno dice: Bettinelli ha preso una lezione da Marino. Il Varese è una catena: se l’ambiente è distratto o seduto, il gruppo assorbe questo clima, e viceversa. E così, sparando su Bettinelli, sparano sul Varese.