Servono trentamila euro per salvare il Premio Chiara dall’oblio, soldi che Cristiano Ronaldo guadagna in un giorno ma che oggi, in Italia, rappresentano una cifra quasi colossale, ancor più gigantesca se a pretenderla è la cultura, rispetto alla quale Cenerentola sarebbe Paris Hilton.
Il costo di un’automobile di medio lusso consentirebbe a una struttura che ha 27 anni di vita – di certo un record nazionale per una manifestazione letteraria – di funzionare ancora per un po’,
diciamo un paio d’anni, prima di collassare forse definitivamente.
Due mesi di prebende della Minetti darebbero ossigeno per un anno all’ufficio che ha regalato alla città Giuseppe Pontiggia, Mario Rigoni Stern, Alberto Arbasino, Carlo Fruttero, e a Luino Andrea Camilleri e Luis Sepúlveda, invitato centinaia di persone alla lettura, premiato Paolo Conte e Francesco Guccini, per non parlare di Laura Pariani, Andrea Vitali, Gianni Celati, Giuseppe Pederiali, Gianrico Carofiglio e l’elenco potrebbe continuare con gli scrittori italiani e stranieri ospiti del Festival del Racconto.
Certo, nel tempo il “Chiara” ha cambiato pelle, allontanandosi dall’idea originaria di concorso letterario puro, e aprendosi ad altre forme d’arte, come il cinema, la fotografia e la musica, peccando forse di bulimia in certi anni con un numero eccessivo di eventi, ma portando nell’asfittico Varesotto un pochino di ossigeno culturale e una simpatica venuzza di follia. Ora i dioscuri del premio Bambi Lazzati e Romano Oldrini, hanno mostrato le fodere vuote delle tasche, i “rottamatori” del Paese hanno lasciato alla Provincia solo gli oneri e non più i liquidi, come la faccia desolata di Alberto Tognola, assessore alla Cultura senza portafoglio, ha lasciato intendere alla presentazione dell’edizione 2015. Siamo lontani dai trentamila euro, che rappresentano soltanto i costi vivi di mantenimento per un anno della segreteria, bollette, spese di stampa di brochure e volantini, e assistenti con contratto a progetto. Che fare?
In mezzo al deserto d’idee, all’aridità degli imprenditori locali e alla Caporetto della politica, si è fatto avanti uno sponsor privato, la Openjobmetis, agenzia per il lavoro con sede a Gallarate (ma origini varesine) il cui logo campeggia sulle maglie della Pallacanestro Varese.
Un segnale importante, di lungimiranza e sensibilità, perché la mossa di Rosario Rasizza dimostra come la cultura possa e debba essere valutata allo stesso modo di altre attività produttive, e non soltanto un sollazzo per pochi intellettuali superciliosi.
Per l’anno dell’Expo il Festival del Racconto riuscirà ancora a presentarsi con l’abito buono, ma poi? Rasizza ha parlato chiaro, dicendo che l’azienda non è abituata ad abbandonare i suoi “protetti” e ha invitato Lazzati e Oldrini a non perdere le speranze per i famosi euro della sopravvivenza, che potrebbero arrivare a sorpresa. Rimarrebbe il problema del resto dei fondi, perché nel 2016 sarebbero dolori, a meno di un improbabile miracolo istituzionale e la sola coraggiosa Openjobmetis non basterebbe a sostenere le molteplici attività del premio.
Il grido di guerra di Romano Oldrini, «varesini svegliatevi!», non era rivolto soltanto ai finti sordi delle imprese, ma anche ai politici e al pubblico dei lettori, perché il Premio Chiara, piaccia o no, è patrimonio di città e provincia e la sua fine rappresenterebbe l’ennesima sconfitta per una Varese ormai senza identità.
O qualcuno mette mano al libretto degli assegni, e in fretta, o altrimenti, nella migliore delle ipotesi, il premio finirà, come successe all’uomo cui è intitolato, al confino in Svizzera. Lui fuggiva dal nazifascismo, la sua memoria letteraria dovrebbe purtroppo farlo dalla meschinità.