Frontalieri, dopo il caro-franco stipendi sotto attacco: buste paga giù anche del 26% per la manodopera italiana. Nelle aziende del Canton Ticino scattano le prime mobilitazioni. «Scandaloso – tuona , sindacalista della Cgil di Varese – gli imprenditori scaricano tutti i rischi sui lavoratori».
Alla Exten di Mendrisio, azienda di lavorazione di materie plastiche, il sindacato Unia ha avviato da giovedì uno sciopero a oltranza, contro la prospettiva di una decurtazione dei salari.
Da allora la produzione è bloccata. Infatti, dopo la decisione della Banca Nazionale Svizzera di togliere il cambio bloccato tra euro e franco, che ha portato il tasso tra le due monete verso la parità, la dirigenza aziendale ha deciso di apportare un taglio dei salari del 26% per i frontalieri e del 16% per i residenti, efficaci a partire dal primo marzo prossimo.
«La decurtazione più elevata mai registrata dal sindacato – fa notare Unia –
Ai lavoratori non è stata data alcuna alternativa: se non firmi il nuovo contratto, chiudiamo la fabbrica. Il ricatto è stato imposto senza neppure presentare la benché minima cifra economica, anche solo inventata ad arte. Dei tagli salariali profondi per difendere i profitti della proprietà».
Alle Ferriere Cattaneo di Giubiasco, vicino a Bellinzona, un’azienda che produce vagoni ferroviari, venerdì è stato allestito un presidio di solidarietà per i lavoratori, che in assemblea avevano respinto all’unanimità la proposta della direzione aziendale di apportare «riduzioni salariali tra il 3 e il 7%, per evitare licenziamenti o la delocalizzazione di una commessa in Slovacchia, a seguito delle difficoltà dovute al franco forte».
Alla Mikron di Agno, il sistema scelto è ancora più sofisticato: a parità di salario, le ore di lavoro dipendono dal tasso di cambio. In base al tasso registrato nel mese precedente, il dipendente lavorerà nel mese successivo una o due ore in più al giorno per compensare, e “guadagnarsi”, il rafforzamento del franco.
Tutti casi fatti emergere dal sindacato Unia, in prima linea nel cercare di tutelare i lavoratori d’oltre frontiera dal rischio di pagare tutto il prezzo del “franco forte”. «Appoggiamo in pieno la battaglia della nostra consociata Unia, che punta a bloccare sul nascere una tendenza che, partita dalle aziende in cui il costo del lavoro ha maggior incidenza, rischia di provocare conseguenze negative per tutti- ammette Paolo Lenna, responsabile frontalieri della Cgil di Varese – è scandaloso che questi imprenditori si rivalgano sui loro dipendenti per quello che dovrebbe essere rischio d’impresa, quindi di loro esclusiva competenza. Si scaricano tutti gli oneri di questa situazione sul lavoro, pretendendo un aumento degli orari a parità di salario oppure imponendo tagli alle buste paga dei frontalieri».
Il fenomeno è ormai diffusissimo, tanto che uno studio della società di risorse umane Aon Hewitt registra come circa il 30% delle imprese multinazionali operanti in Ticino abbia già congelato o ridotto i salari, mentre il 14% prevede di ridurre gli stipendi dei loro dipendenti frontalieri. «Purtroppo – spiega Sergio Aureli, responsabile frontalieri per Unia Ticino – esiste una legge che, in deroga, permette di ridurre lavoro e salari qualora le oscillazioni del franco siano particolarmente ampie».
Una possibile risposta? «Il contratto collettivo nazionale, o perlomeno cantonale, quello che i nostri consociati d’oltre confine chiamano “mantello” – invoca Paolo Lenna della Cgil – oggi è previsto solo per alcuni settori, anche se derogabile con l’accordo dei sindacati interni. È l’unica soluzione per evitare questi fenomeni di dumping».