Vavassori, venga qui A salvare il Varese

Nell’editoriale di oggi, Federica Artina lancia un appello all’ex patron della Pro Patria: è lui l’unico che può dare nuova linfa alla società biancorossa

Un giocatore, diceva la canzone, lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Quanto vorremmo, in questi giorni, vedere simili caratteristiche messe in campo da chi siede e da chi vorremmo nella stanza dei bottoni del Varese: coraggio di metterci la faccia; altruismo nel comprendere il patrimonio storico e culturale (sì, storico e culturale) che la società biancorossa rappresenta per questa città; fantasia, perché senza di quella non si va lontano, anche quando si tratta di maneggiare i cordoni di una borsa che, di questi tempi, è spesso semivuota.

È innegabile che uno dei “giardini” che hanno reso famosa la nostra città in Italia e anche nel mondo è quello del Franco Ossola. Quell’erba verde nella quale si riflette il Sacro Monte, sferzata dal vento quando meno te l’aspetti. Quel rettangolo che l’intera serie A ancora ricorda come scenario di sfide mitiche.
Varese è una grande terra di calcio, terra che ha visto nascere talenti inestimabili, terra che di fenomeni ne ha cresciuti e,

vogliamo crederci, ne crescerà. Proprio per questo vorremmo vedere uscire allo scoperto i vertici del calcio, ad esempio, su quanto sta capitando. E’ vero che i problemi societari sono affari, appunto, delle singole realtà. Ma quando ci sono di mezzo veri patrimoni dello sport nazionale come in questo caso (o come nel caso del Parma), almeno un cenno pubblico sarebbe gradito.
Fin qui dobbiamo arrangiarci da soli, come è sempre stato e come sempre sarà. Accettiamo la sfida, e in fondo preferiamo pure che sia così. Anche perché sono le situazioni in cui l’orgoglio biancorosso ha sempre saputo tirare fuori il meglio di sé. Un esempio lampante? L’ingresso a 1 euro sabato al Franco Ossola. Chiunque cercherebbe in questo momento di salvare il salvabile almeno sugli (esigui) incassi per approvigionare il mulino in secca di acqua fresca. Qui no. Qui per fortuna c’è ancora gente per cui la maglia biancorossa non è un semplice lembo di stoffa, ma un baluardo da proteggere costi quel che costi. Gente che pur di vincere la battaglia epocale di sabato (perché di questo si tratterà contro un Brescia disperato come e più di noi) spalanca le porte dello stadio per ricompattare quella che fu (ma che non ha mai smesso di essere) la famiglia biancorossa.
Devono esserci tutti. Anche coloro che da tempo non varcano quei cancelli magari perché hanno il cuore ferito. O l’orgoglio. O entrambi. Sabato serviamo tutti, perché sabato abbiamo una missione: incarnarci nell’attaccante mai arrivato e segnare noi il gol della vittoria, della salvezza, della rinascita. Dopo la gara d’andata a Cremona nei playoff 2010, con un finale che sembrava già disastrosamente scritto, titolammo: “Tutti a Masnago, un gol lo segniamo noi”. Così fu. Perché se lo chiedete ancora oggi a Daniele Buzzegoli vi confermerà che i suoi due gol a Masnago che significarono serie B non li ha segnati da solo. Li ha segnati spinto dal popolo biancorosso che quel giorno fece scoppiare il Franco Ossola d’amore sotto la pioggia.

Oppure chiedetelo ai sessanta impavidi cuori biancorossi che l’altro ieri erano a Trapani, incuranti di quello che succede dietro le scrivanie e preoccupati solo di mordere l’erba insieme ai loro (nostri) gladiatori in campo, insieme al Betti, insieme a uno staff tecnico che continua a testa bassa a fare il suo lavoro perché non è capace di fare altrimenti. Nonostante tutto, nonostante tutti.
Oggi il sindaco Attilio Fontana accoglierà nuovamente a Palazzo Estense Imborgia e gli imprenditori amici dei biancorossi che si stanno scervellando per trovare la quadra e far uscire la società da questo pantano. Tra tanti paroloni spaventosi, articoli di codici fallimentari, procedure più o meno comprensibili ai non addetti ai lavori, c’è una parola, un nome, che adesso ci permettiamo noi di buttare nella mischia. Ed è quello di Pietro Vavassori.
Patron, ci pensi lei. Ci aiuti lei. Venga dove finalmente qualcuno saprà apprezzare la sua opera.
Lei che si è sempre fatto paladino dei giovani, del successo costruito da solide basi (leggi vivaio), lei che tanto dà e sempre tanto poco ha ricevuto, qui troverebbe il terreno fertile nel quale far crescere i suoi ideali. Coraggio, altruismo e fantasia lei sa benissimo cosa sono. A noi sono forse le uniche cose che in questo momento davvero mancano. Come l’aria.