– Facciamo due passi a Parigi, con un giovane architetto varesino, figlio d’arte, , quasi trent’anni e una vita a disegnare e dedita al design, su e giù per la Francia, dalla rossa Borgogna alla più mediterranea Provenza. Partendo da un centro di gravità che non è la città giardino ma è Parigi, 46 rue Sainte Anne. Ovvero l’ Atelier LAVIT, al centro della città più romantica del mondo.
Lavit ci apre le porte del suo atelier, con un’eleganza nobile e schietta, sguardo sincero e dolce mentre ci invita ad ammirare la sedia Venezia, un’invenzione di design che ha appena presentato alla Design Week di Milano.
Un luogo di lavoro e di svago, in parte una casa, per ricevere amici e clienti e sviluppare progetti di architettura, design e fotografia. L’Atelier è vicino anche al mondo della moda. Spesso giovani amici collaborano con me per organizzare eventi, showroom e esposizioni in questo indirizzo molto centrale.
Sono all’inizio della mia avventura, ho fatto gavetta per un po’ di anni in studi a Parigi e a Londra, con qualche esperienza in Australia, Cina e Giappone. Già durante il periodo di formazione mi sono trovato in situazioni di grande crescita personale e professionale. Molto spesso ho accettato proposte e offerte lavorative, anche le più inattese e insicure, immaginando con un costante ottimismo che mi avrebbero arricchito, nell’immediato o in un futuro prossimo. Sembra banale dirlo ma puntare sempre in alto non costa niente.
Con Varese ho un rapporto a distanza ma costante, mi affianco all’esperienza di mio papà Carlo. Per quanto riguarda il design, lavoriamo con artigiani delle nostre parti che sono sicuramente i più rinomati al mondo. Non sono nostalgico di Varese semplicemente perché di carattere non sono molto nostalgico. Il passato nutre il presente costantemente ma senza troppe note romantiche.
Mi sono trasferito a Parigi nel 2005, per iniziare gli studi, usando la Ville Lumiere come base, da lì mi sono spostato per esperienze come stage e workshop. Parigi ti assorbe molto e ti nutre costantemente di novità pur sapendo essere intima e discreta.
Lo scambio diretto e costruttivo col cliente e con le persone che lavorano per te e con te, come un direttore d’orchestra che ha bisogno di tutti i suoi musicisti per arrivare al risultato.
Penso che ormai a Parigi si possa trovare tutto a livello di prodotti italiani di ottima qualità, magari non allo stesso prezzo, ma ammetto che alcuni sughi o prodotti sott’olio, marmellate fatte in casa o formaggi hanno sempre un posto nella valigia. Quello che invece è meno abituale per una valigia d’Expat sono i ritagli e campioni di cuoio e pelle, maglie metalliche o tessuti, per i prototipi degli oggetti disegnati.
Purtroppo non seguo più la pallacanestro, anche se due tiri ogni tanto, nelle giornate di primavera fanno sempre piacere ai campetti degli Champs de Mars. Sono sempre più appassionato di fotografia invece e di bicicletta, mio unico mezzo di locomozione a ruote a Parigi, che mi porta ovunque. Una passione invece più complicata da praticare a Parigi, per più che ovvie ragioni, rimane invece la barca a vela.
Quello che mi è rimasto dentro del Cairoli è un’attitudine a puntare sempre in alto nelle varie sfide del quotidiano, sia personali sia più strettamente professionali. Vale a dire l’attitudine a sapere che non si è mai arrivati ma che si è sempre in divenire.
Credere sempre in se stessi, più di quanto gli altri possano farlo, le formazioni qualificate vengono dopo. Il vero talento è sapere essere creativi, nel senso di saper creare opportunità dalle situazioni in cui ci troviamo di volta in volta.