– Il prete “imprenditore” e degli “ultimi”: appellativi che don Marco Casale deve agli incontri fatti nella vita, ma soprattutto all’intuizione che la concretezza nell’aiuto e il lavoro di squadra non limitino all’offerta della domenica l’impegno sociale, ma diventi un ambito del quotidiano. Casale oggi è responsabile decanale della Caritas varesina e cappellano del carcere dei Miogni. In forza alla Parrocchia della Brunella sta per diventare parroco rimanendo in città.
Per me sono due novità in una. Faccio il parroco per la prima volta e divento responsabile di una comunità pastorale. In questo momento credo che per me sia una buona opportunità. Mi ricolloca pienamente nel vivere parrocchiale, sorretto dalle altre esperienze vissute in questi 22 anni di sacerdozio sia all’interno della vita delle parrocchie, sia su altri versanti nell’ambito del vivere sociale.
Credo siano gli incontri che si fanno nella vita. Si incontrano persone, ci si lascia avvicinare e toccare dal bisogno, senza troppo rifletterci e ci si trova a occuparsi di queste cose. Sono sostenuto dalla parola del Vangelo che ci ricorda e che sempre partiva da poveri, ultimi ed emarginati e parlava sempre a loro per primi per arrivare poi a tutti. Proprio Papa Francesco ci ricorda che non è il “pallino” di chi ci crede o di chi non ci crede: non è questione opzionale, questo è il cuore dell’annuncio evangelico.
Bisogna curarsi dalla presunzione di poter fare tutto in prima persona. Tutti ne siamo un po’ malati, anche i preti non ne sono immuni. Mi sono fatto aiutare in questo senso, capendo che è importante lavorare insieme, in una rete, con buoni collaboratori condividendo progetti. Bisogna far sì che il tempo sia ben organizzato, dandosi priorità, senza perdersi con cose non necessarie. Chi mi conosce sa che non mi tiro indietro, se c’è da lavorare. Senza questo non si fa nulla, anche se arrivano buone idee.