«Ora vivo nella tranquillità, nella serenità, che non avevo quando ero al Varese». Sono parole di , responsabile della Scuola Calcio biancorossa prima di passare al rugby, sport a cui ora si dedica con anima e corpo, essendo il punto di riferimento dei ragazzini che giocano sul mitico campo di Giubiano. Il pallone rotondo è spesso nevrotico, mentre quello ovale offre una realtà più vivibile: «Una società professionistica di calcio punta solo al risultato, alla sua esasperata ricerca. Nel rugby questo non esiste, e se la prima squadra perde di 40 punti contro Biella non casca il mondo: ma si accoglie e accetta con sportività il risultato, che è sempre e solo un risultato».
Che i due ambiti siano differenti, se non opposti, non ci piove. Lo capiamo da Caccianiga che, pur essendo passato al rugby, continua ad amare il Varese: «Sono nato biancorosso e morirò biancorosso. E sono strafelice che , e siano stati confermati, perché con loro avevo seminato bene e ora possono continuare a seminare bene, lavorando tanto sui genitori. Non è ammissibile che dopo una sconfitta sia guerra civile o caschi il mondo».
Il preambolo di Caccianiga serve per inquadrare la storia che vogliamo raccontarvi oggi, e per far capire come spesso nel mondo del calcio capiti che i genitori di baby calciatori urlino contro l’arbitro ma spesso, purtroppo, se la prendano addirittura con i bambini della squadra avversaria.
Un genitore di un ragazzo di 16 anni che gioca nel Rugby Como ha alzato invece la voce per quella che reputa un’ingiustizia: suo figlio non può giocare perché la società non gli concede il trasferimento in un’altra città, che si chiama Varese. L’accusa di , padre di , un ragazzo innamorato del rugby al punto da volere intraprendere la carriera professionistica, è pesante: la storia ce la racconta , giornalista di talento che ha scoperto la notizia, lanciandola su “Qui Como”. Al collega va il nostro plauso per il suo fiuto: proviamo a riassumere la sua inchiesta.
Ruben ha imparato a giocare a rugby a Hong Kong, dove, a causa del lavoro del padre, ha vissuto per sette anni insieme alla famiglia, di origine inglese e appassionata della palla ovale. In Italia, il ragazzo ha incominciato con il Como, titolare del cartellino, che adesso non lo vuole lasciar passare al Varese: «Qualsiasi altra squadra sì, ma non il Varese», ripete a William Cavadini. «Sembra un caso di “campanilismo” spinto all’ennesima potenza» scrive Alemanno che, da bravo giornalista, nella sua inchiesta ha sentito anche l’altra campana: «Il presidente del Rugby Como, – prosegue il giornalista comasco – rispedisce le accuse al mittente e spiega le ragioni del mancato nulla osta: “Ruben ha frequentato il centro di formazione federale a Varese, così come altri atleti di altre squadre lombarde. Secondo un accordo verbale, al quale ha aderito anche il presidente del Varese, nessun atleta sarebbe stato ceduto al Varese. I motivi di questo accordo tra gentiluomini sono semplici: ogni società investe molto nei suoi giocatori e i migliori li manda al centro di formazione per farli crescere ulteriormente. Spesso, però, accade che i giovani atleti, dopo un periodo più o meno lungo al centro, desiderino restare a Varese. Se acconsentissimo sempre a queste richieste, le squadre perderebbero sempre i loro migliori giocatori e non progredirebbero. Tuttavia, se arriva una proposta da una squadra che può dare qualcosa in più a uno dei nostri ragazzi, noi li lasciamo andare, ma con il Varese ci sono accordi precisi”».
Un’ulteriore precisazione arriva dal vicepresidente del Rugby Como, che fa sapere che «non è arrivata alcuna offerta in denaro in denaro per acquistare il cartellino del ragazzo. E, continua il dirigente, “anche se fosse giunta una qualche offerta non sarebbe cambiato nulla perché non è assolutamente una questione di soldi”».
La situazione è intricata e Alemanno si è premurato, da ottimo professionista, di chiamare anche , presidente di Varese che ha detto: «È vero che nel periodo in cui un atleta gioca nel centro federale di formazione non può passare al Varese, ma non mi risulta proprio che ci sia stato un accordo anche relativo al periodo successivo al centro di formazione. Onestamente non capisco le ragioni del Rugby Como. Stiamo parlando di società dilettantistiche con ragazzi di 16 anni che vogliono solo giocare a rugby. Se il Como ha ceduto al Lecco alcuni atleti, non vedo perché non possa dare il nulla osta per il Varese». Alemanno non tralascia di sentire , responsabile area tecnica della Federugby: «Le regole consentono al Como di negare il trasferimento al giocatore. L’unico modo per svincolarsi dalla società è restare inattivo per 12 mesi. Il regolamento è stato modificato due anni fa: prima il periodo era di 24 mesi. Quello che posso dire è che auspico che prevalga il buon senso». Ma noi, al di là delle esaurienti spiegazioni dei protagonisti, non continuiamo a capire perché un ragazzo non possa passare da Como a Varese per praticare il rugby, che, diceva Caccianiga, è «tranquillità, serenità e valori».