Lavori in Svizzera? Allora devi pagare lo stipendio con i “tempi” svizzeri. Beffa dal Canton Ticino: un’azienda artigiana multata dal locale Ispettorato del lavoro per aver pagato (regolarmente) i propri dipendenti il 16 del mese successivo, come fanno tutte le Pmi italiane, e non entro il 30 del mese corrente, come previsto dal contratto di lavoro svizzero.
È successo alla Spinazza, piccola impresa artigiana di arredobagno di Arcisate, che spesso invia il proprio personale in “trasferta” in Canton Ticino per soddisfare le richieste di una ormai storica clientela d’oltre frontiera.
«Siamo sempre stati soggetti ai controlli, rigorosi, quando mandiamo il nostro personale in “trasferta” in Canton Ticino – racconta , che insieme al marito e a quattro dipendenti porta avanti un’attività che opera da una parte e dall’altra del confine dagli anni ’60 – ma questa eccezione non ci era mai stata rivolta. È diventato complicato lavorare in Svizzera».
All’Ispettorato del Lavoro svizzero non è andato bene che la Snc di Arcisate versasse il compenso ai propri dipendenti (anche per il lavoro svolto in Svizzera, già soggetto a specifiche segnalazioni e regole ferree, per dimostrare che le ore lavorate oltre confine siano state effettivamente pagate e siano corrispondenti con il valore delle fatture emesse) nel mese successivo a quello lavorato, mentre la normativa del contratto collettivo svizzero prevede l’erogazione prima della fine del mese.
Un’incongruenza che è costata una sanzione alla Spinazza. Solo l’intervento di Confartigianato ha permesso di giungere ad un compromesso: esclusa la possibilità di deroga, le autorità ticinesi hanno accettato che l’azienda varesina possa versare un acconto dello stipendio, pari alle ore lavorate in Svizzera, entro il 30 del mese.
Un precedente che l’associazione di via Milano intende promuovere per tutti gli artigiani che operano oltre i valichi di frontiera.
«Già la burocrazia in Italia,
come sappiamo tutti, non aiuta le imprese, questo dalla Svizzera è un ulteriore appesantimento – ammette Ombretta Galmarini – abbiamo a che fare con due Stati, ciascuno con le proprie normative e procedure a cui adempiere, e per le quali bisogna sempre rivolgersi a qualche consulente». Una doppia “pastoia” burocratica a cui fare fronte. Per certi versi comprensibile da parte del Ticino, per gli stessi imprenditori di Arcisate, che hanno il polso di come è mutata la situazione negli anni della crisi: «Anche noi abbiamo sentito molto il peso della concorrenza che dall’Italia sta andando all’assalto della Svizzera, mentre molte aziende attorno a noi sono già passate al di là del confine – spiega la signora Galmarini – ma crediamo che andrebbe riconosciuto in qualche modo il fatto che un’azienda di Arcisate o di Malnate abbia sempre lavorato in Ticino, così come gli svizzeri sono sempre usciti per venire da noi a cercare un po’ di stile italiano e un prodotto più conveniente, come vanno anche a fare la spesa al supermercato. Il cliente ticinese è ancora attratto da questa possibilità di scelta, ma lavorare diventa sempre più difficile».
Insomma, le imprese di confine finiscono per pagare, per certi versi, l’inasprimento che la Confederazione ha stabilito per contrastare i tanti “furbetti” che da tutta l’Italia hanno iniziato a guardare al mercato elvetico.
Un aiuto da parte delle istituzioni, soprattutto per le attività di confine che resistono, sarebbe gradito: «Ne abbiamo sempre sentito parlare, ma non si è mai concretizzato nulla» ammette Ombretta Galmarini. «È scoraggiante, ma si deve lavorare. Adempiremo alle regole e andremo avanti. Noi non abbiamo intenzione di spostarci da Arcisate».