Pavoletti e De Andrè. Genova è così vicina

«Unite da un attaccante. Unite dalla vicinanza all’acqua. Unite dall’essere città dove la gente parte e arriva. Unite dalla voce di un poeta che scriveva canzoni» L’editoriale del nostro Francesco Caielli

Varese e Genova si danno del tu: due città meravigliose, donne difficili ma affascinanti che mica si concedono al primo appuntamento. Città che si assomigliano. L’idea è venuta così, in uno di quei momenti in cui in redazione ci si prende un attimo di pausa prima di gettarsi nel delirio serale delle pagine da chiudere, parlando di pallone. Un hashtag, buttato lì per caso e poi divenuto virale: #pavolettiinnazionale, una sorta di petizione virtuale per lanciare in azzurro il bomber che fece innamorare Varese e che ora ha fatto innamorare Genova.

Ecco lo spunto, tirato fuori dal maestro Marco Dal Fior, uno che quando passa a trovarci in redazione anche solo per un saluto veloce lascia sempre qui qualcosa. Varese e Genova si somigliano, si vogliono bene, sono simili.
Unite da un attaccante con la faccia da ragazzo normale che fa un gol dopo l’altro, ma non solo. Unite dalla vicinanza all’acqua – il mare da una parte, il lago dall’altra – e l’accostamento non è una bestemmia: perché chi vive vicino all’acqua conosce l’arte del capirsi con uno sguardo e il valore del silenzio. Unite dall’essere città dove la gente (ma soprattutto le merci) parte e arriva: il Porto di Genova, la nostra Malpensa. Unite dalla voce di un poeta che scriveva le canzoni più belle che si siano mai ascoltate: l’altra sera Varese ha preso d’assalto la sala del Twiggy dove si celebrava l’anniversario della morte di Fabrizio De Andrè, genovese e testimone della genovesità nel mondo. Ma ad unire idealmente le due città c’è anche Bruno Lauzi, pure lui genovese e varesino d’adozione per aver vissuto nella Città Giardino una fetta della sua vita.
Varese e Genova. Bello scoprire come anche due città apparentemente tanto diverse riescano ad assomigliarsi. A trovare delle scuse per sentirsi vicine. Forse è stato solo un gioco: spaziare da Pavoletti a De Andrè potrebbe far stortare il naso a qualcuno.
Ma no, non è stata una forzatura. Perché davvero non c’è niente di più bello, quando si viaggia, che imbattersi per caso in qualcosa che ti faccia sentire a casa tua.