«Ho visto delle macchie di un rossetto su una camicia e su un capo di biancheria. Abbiamo iniziato a litigare, chiedo spiegazioni. Lui si è difeso contrattaccando, perché quella è sempre stata la sua tattica. Mi ha attaccato, mi ha preso e mi ha buttato sul letto, mi ha detto che sono una puttana (e altri insulti del genere, ndr). Ho cercato di scappare, ma lui ha chiuso la porta a chiave. Mi ha detto: adesso voglio proprio vedere dove vai.
Io sono andata fuori sul balcone, ho urlato, ma lui ha continuato a schiaffeggiarmi. Uno di questo schiaffi mi ha fatto rigirare, facendomi perdere l’equilibrio, Ricordo di essermi aggrappata. Lui era in sala, ricordo quegli occhi: mi ha guardato con uno sguardo agghiacciante e mi ha detto che tanto le merde cadono sempre in piedi». È il racconto choc di, la donna di Gallarate precipitata dal quinto piano della palazzina di via Sciesa la sera del 10 aprile 2014. Una vicenda terribile nella quale è accusato di tentato omicidio l’ex compagno .
Nella giornata di ieri in udienza al tribunale di Busto Arsizio la donna, viva per miracolo, ma le ferite e le sofferenze sono ancora aperte, ha raccontato quello che si ricorda di quei terribili momenti. A innescare il litigio sarebbe stata una questione di gelosia, anche se sono diversi gli aspetti tuttora da chiarire. La Scialpi ha raccontato la sua verità: «Quel giorno – ha detto la donna ieri in Aula – dovevo andare dall’altra parte di Gallarate per far prescrivere delle medicine per mio padre invalido. Marco dice che ci sarebbe andato lui e io mi sono molto sorpresa perché non si era mai fatto avanti fino a quel momento». A quel punto il racconto della donna prosegue: «Intorno alle 16/17 è uscito, ma è rimasto fuori più del dovuto. Mi sono molto preoccupata e dopo un paio d’ore è tornato e mi ha detto che quel giorno il medico non c’era. Mi è sembrato molto strano, come mi è sembrato strano tutto ciò che è successo dopo. E’ andato in bagno ed è corso a lavarsi. Mi sono insospettita, ho aperto un cesto della biancheria e ho visto le macchie di rossetto».
In aula, di fianco ai due avvocati difensori e , c’era anche l’ex compagno che ha seguito le fasi dell’udienza con attenzione. Il Pm, titolare del fascicolo, è, invece,. «Non credo – dice la ex compagna – che volesse buttarmi giù, ma una volta che gli ho chiesto aiuto ha fatto finta di nulla. Quando mi sono svegliata lui mi ha detto che stavo stendendo la biancheria e che mi ero sporta troppo ed ero caduta. Alla inizio ci ho creduto. Quando ero in psichiatria dissi a Marco nell’orecchio che lo amavo. Lui sapendo che c’erano le microspie mi chiese di alzare la voce e di ripeterlo». Dal suo racconto è emerso che nell’ultimo anno l’idillio d’amore era finito: «Se stavo zitta le prendevo – dice – ma se mi difendevo andava peggio. Schiaffi, mi prendeva per i capelli, mi mordeva il naso, il viso. Dopo che c’eravamo lasciati, io ci tornai insieme perché ero innamorata».