Era lì che si andava per prendere l’ultimo disco del Boss. È stato lì che papà ci portò per comprare il primo disco della nostra vita (La Buona Novella di Fabrizio De Andrè). Era lì che si passava quando uscivamo dal Cairoli a mezzogiorno e si doveva far passare un’ora per aspettare la morosa fuori dall’Itpa o dall’artistico. Oggi non chiude solo un negozio: chiude anche la nostra illusione di essere ancora quei ragazzi e quei bambini di allora.
Ogni generazione ha avuto il suo luogo di riferimento: un bar, una piazza, una via, un locale. Noi di Varese, noi venuti su a Varese in quegli anni lì, abbiamo avuto la Casa del Disco: e non faremmo cambio con nessuno, ma proprio nessuno.
Nessun altro negozio, per noi, ha lo stesso fascino: quello della ritualità dell’acquisto. Perché erano gesti decisi e definiti, irrinunciabili, sempre quelli e sempre gli stessi, ripetitivi come un’Avemaria. Entrare, prendere il disco che sapevamo avremmo preso, curiosare per gli scaffali, presentarsi da Mauro con in mano altri cinque o sei dischi, farsi fare il timbrino sulla tessera fedeltà che ogni dieci acquisti ne regalava uno (quante ne abbiamo completate di quelle tessere, e quante altre ne abbiamo perse quando mancavano due o tre timbri per finirle?). E poi tornare subito a casa perché c’era il bisogno fisico di ascoltare subito quello che si era comprato, un rito irrinunciabile che non si poteva rinviare.
Passare per l’ultimo saluto, vedere gli scaffali ormai vuoti e spogli, leggere negli occhi di chi lì dentro ci ha vissuto per davvero è stato un allenamento alla tristezza. Il mondo cambia, e questo non è un mondo in cui i negozi di dischi possono restare aperti. Oggi c’è per tutti la musica pronta all’uso (Spotify, iMusic, o quel che vi pare): comoda, economica, immediata. E ce l’abbiamo pure noi, ci mancherebbe: tutte le canzoni del mondo a disposizione con un clic, un sogno.
Però concedeteci queste righe – saranno le ultime, promesso – da nostalgici di quello che non tornerà più. Comprare un disco là dentro era poesia allo stato puro: e nessuna tecnologia del mondo sarà capace di ridarcela indietro. Ci resta un pugno di ricordi, degli scaffali zeppi di vinili e di cd che nessuna moglie ci convincerà mai a mettere in solaio, una busta piena di biglietti stropicciati di concerti indimenticabili e fatti di amicizie e aneddoti. Si abbassa una serranda. Chiudendosi dietro un mondo e lasciandone fuori un altro. Senza lasciarci la possibilità di scegliere in quale vivere.
Come fai a non sentire un groppo in gola, mentre Mauro ti saluta con gli occhi lucidi circondati da scaffali ormai spogli? Come fai a restare indifferente uscendo per l’ultima volta da quella porta a vetri e lanciando uno sguardo a quel bancone che per anni ti ha regalato brividi ed emozioni? Stasera Mauro e i suoi ragazzi tireranno giù per l’ultima volta la serranda, chiudendo per sempre in quelle quattro mura i sogni, le evasioni, le emozioni di intere generazioni di varesini. Quel cubo di celeste e neon era un rifugio per tutti. Per i ragazzini a caccia dell’ultimo rapper come per chi ha già i capelli bianchi e sapeva sempre di poter trovare album destinati a non morire mai anche se nel cuore di pochi. Se ne va un pezzo di storia, come hanno scritto e detto in tanti forse fin troppo a cuor leggero. E come in ogni momento di distacco, a prendere il sopravvento è la nostalgia. Dolce, amara, bastarda. Da oggi in poi le panchine di piazza del Podestà resteranno per sempre il gelido appoggio sul quale aspettare per ore quella saracinesca che si apriva come per magia nel cuore della notte. Perché Mauro, unico in provincia, decideva puntualmente di aprire allo scoccare della mezzanotte per mettere in vendita l’album appena uscito di Vasco Rossi. E quel portico resterà per sempre il primo metro di idillio quando si usciva dal negozio brandendo i sospirati tagliandi di concerti epocali, quando internet e certi operatori non avevano ancora il controllo totale dei grandi eventi in Italia. La Casa del Disco resterà sempre il posto dove si ammiravano i cartonati delle grandi rockstar sbavando per giorni davanti alla vetrina. E poi, immancabilmente, quando si trovava il coraggio di chiedere se era possibile averli, la risposta era sempre che se l’era già aggiudicato qualcun altro prima di te. Ecco, Mauro, io oggi spero che questo “qualcun altro” abbia custodito degnamente quei cimeli, ora pezzi di un gioiello che splenderà per sempre. Chissà cosa arriverà in quei locali, oggi domani o chissà quando. Di certo, niente avrà il cuore, l’anima e il sorriso della Casa del Disco. Della nostra Casa del Disco. E i varesini saranno un po’ più soli. Quando ci si mettono di mezzo i costi, ahinoi, non c’è piazza gremita che tenga. Non c’è fabbrica dei sogni che possa vincere. Difficile spiegarlo a chi ha avuto la possibilità, nel corso di tutti questi anni, di poter stringere la mano a un suo idolo. Di fare una foto che non dimenticherà mai. Di poter assistere a performance dal vivo uniche e irripetibili. No, la Casa del Disco non è un semplice negozio di dischi. È molto, molto di più. Una certezza che regalava fantasia.