Ieri, su New York, splendeva un sole abbagliante. Che illuminava una città dall’aspetto lunare: muri bianchi di neve ai bordi delle strade, auto e giardini sommersi da un candida coltre, surreale atmosfera ovattata laddove solitamente regnano traffico e sirene urlanti a qualunque ora del giorno e della notte. Jonas ha colpito, Jonas se n’è andato. Jonas è la grande tempesta di neve che tra venerdì e sabato ha colpito la costa est degli Stati Uniti, provocando la cancellazione di qualcosa come diecimila voli, la morte di 19 persone e centinaia di migliaia di dollari di danni. Eppure il morso di Jonas alla Grande Mela, nonostante qualche inevitabile disagio, ha lasciato più che altro una scia di poesia. Ce lo conferma , 32 anni, insegnante di lettere varesino che a New York vive e lavora dalla scorsa estate.
Lui la nostra “big snow” del 1985 stenta a ricordarla: non aveva neanche due anni. E così si è goduto quella che gli americani hanno ribattezzato “snowmageddon” (da armageddon, il giorno del giudizio) con ancora più meraviglia. «Forse dobbiamo ringraziare il cielo, letteralmente, per averla fatta arrivare in un weekend, circostanza che naturalmente ha complicato meno la vita a tutti – ci racconta Alberto mentre sposta la webcam per mostrarci il panorama dalla finestra del suo appartamento a Brooklyn –
C’è da dire però che qui la prevenzione è una cosa seria. Lo stato di allerta è stato disposto con largo anticipo e soprattutto la rete di informazione è stata davvero capillare con tutte le istruzioni da seguire». Lo stop, mano a mano che le precipitazioni aumentavano, di bus prima e auto poi. La chiusura dei ponti, la limitazione delle corse della metropolitana e l’appello, incessante, a restare in casa. «Appello ascoltato, anche perché le sanzioni per chi avesse deciso di usare comunque l’auto prevedevano addirittura l’arresto – ci spiega il varesino, nato e cresciuto a Solbiate Arno – E quindi abbiamo tutti benedetto l’efficienza delle connessioni internet, che hanno retto alla bufera, godendoci maratone su Netflix di film e serie Tv».
Efficienza a stelle e strisce, si diceva. Racconta ancora il nostro docente: «Le previsioni, hanno azzeccato quasi al minuto l’inizio e la fine delle precipitazioni, toppando però sull’intensità. Erano stati previsti una ventina di centimetri al massimo e invece abbiamo superato il mezzo metro di neve caduta».
Così la gente si è ritrovata padrona assoluta quanto inaspettata di una città da percorrere con slittini, sci ai piedi e via di fantasia.
E ieri mattina tutti fuori. A godersi una New York «bella come mai prima d’ora». «Sono uscito a prendere un caffè, me lo ha servito un ragazzo che arriva dalla Mauritania – racconta ancora Alberto – Potete immaginare il suo, di stupore, di fronte a tutto questo…». Anche se, la cosa più stupefacente, è stata «il silenzio che ha avvolto per due giorni la città che per definizione non dorme mai. Sembrava di essere stati catapultati su un altro pianeta, deserto».
Poi c’è stata un’altra sorpresa per un italiano verace: «Ebbene sì, mi sono particolarmente stupito nel vedere gli spazi antistanti scuole ed edifici pubblici in generale già perfettamente puliti e sgomberati dalla neve. E tutto, dai trasporti ai servizi, è tornato regolare non appena i fiocchi hanno smesso di cadere». «Per quel che ho vissuto sulla mia pelle devo dire che è stato tutto gestito con la massima efficienza – conclude il prof – Certo, duecento famiglie nel Bronx sono rimaste senza corrente per qualche ora, ma in una città che conta otto milioni di abitanti a mio avviso è un dato quasi irrilevante. È evidente, anche guardando i telegiornali, che gli uragani che negli anni scorsi hanno flagellato la costa est hanno lasciato in eredità tanta paura, ma anche tanta efficienza e preparazione in casi simili. Dicono che sia stata la seconda più grande nevicata della storia nell’anno più caldo di sempre a New York. E potrebbe non essere finita qui, dato che solitamente è febbraio il mese più gelido e “a rischio” da queste parti…».
Chissà. Resta il fatto che quei vialetti ovattati, quelle macchine sommerse di neve e quei palazzi bordati di ghiaccio resteranno per Alberto e per tutti i newyorkesi un ricordo denso di poesia. Da immortalare per sempre nei selfie ma soprattutto nel cuore.