– Basta il cognome per leggere una storia che si farebbe fatica a raccontare in un solo libro. Bulgheroni è una bandiera dell’imprenditoria varesina, ben tenuta in alto da Edoardo, erede, insieme al fratello Giannantonio (per tutti è «Tony») e alla sorella Anna Maria, di una delle più illustri dinastie della provincia.
E
Si sbaglia, ho passato la domenica con mio figlio Carlo, che affrontava una trasferta difficile.
No, è passato in estate alla Pro Patria, insieme ai compagni di squadra e all’allenatore Matteo Battilana, ma il cuore è biancorosso. Pensate che, prima di una partita con la nuova maglia, a inizio campionato, i ragazzi si sono stretti a centrocampo per darsi la carica, lanciando il solito grido di battaglia: «Dai Varese, olé». Realizzando, solo successivamente, di essere alla Pro Patria.
Bene: con un 2-0 meritato.
È un ragazzo di 13 anni che ha poca concorrenza nel suo ruolo, visto che è un terzino sinistro. S’impegna molto e questo è quello che conta di più. È alla Pro Patria solo perché quest’anno il Varese non ha allestito la squadra dei Giovanissimi regionali ma l’anno prossimo conto di riportarlo a casa.
Giocano a basket: Antonio ha 11 anni e gioca nella Robur, Francesco ne ha sette e dopo un po’ di hockey è passato al mini basket, sempre nella Robur, ma in primavera potrei portarlo a fare rugby.
Ero strapatito di pallacanestro: non esisteva altro, se non un po’ di tennis. Sono arrivato fino alla B2, giocando a basket da 5 a 23 anni, e poi sono diventato dirigente.
Sono stati molto bravi a depersonalizzare il contesto, facendo capire che il Varese è la squadra dei tifosi. C’è stato un grande coinvolgimento in tutta la città nella rifondazione della società, che non deve essere associata solo alla proprietà. Lo stesso ho fatto io ai tempi della Pallacanestro Varese, che è un bene della città e non di una sola famiglia. La colletta che ha salvato il calcio l’estate scorsa ha coinvolto la gente e adesso i presupposti per fare bene ci sono ma il difficile arriverà in Serie D.
Mi sorprende il fatto che non siano gli stessi dirigenti a impegnarsi in prima persona per realizzare il progetto. Uno stadio di proprietà, come quello della Juventus, sia pure in scala ridotta, ha senso pensando al ritorno in Lega Pro e in B del Varese. Trovare imprenditori disposti a investire a prescindere mi sembra utopistico.
Pallacanestro Varese e Robur et Fides stanno lavorando bene ma il problema è complesso e riguarda il reclutamento degli atleti: in provincia si fa fatica a trovare ragazzi che poi siano in grado di fare il salto in prima squadra. I problemi di Varese non sono diversi dal resto d’Italia anche se alcune realtà sono messe meglio, come Reggio Emilia, che ha un progetto legato ai giovani italiani e si riflette sulla prima squadra.
Gli investimenti sull’ippodromo, sulla pista e sulle infrastrutture, sono mancati e i tempi sono cambiati, anche perché le classiche, a partire dal Criterium, sono state declassate e il Gran Premio è rimasto l’unico Handicap Principale di una stagione in cui non ci sono neppure più le prove di avvicinamento alla corsa più attesa dai varesini, che rimpiangono le serate d’estate in cui tutta la città si dava appuntamento alle Bettole. I problemi dell’ippica sono però marginali visto che in Italia ci sono altre emergenze e tante persone hanno perso il lavoro durante gli anni della crisi.
Stimo Malerba che è un amico e la mia famiglia aiuta il rugby da quarant’anni perché dietro a questo sport c’è sempre stata la famiglia di Stefano. Si è impegnato molto nel sociale e nello sport e sicuramente ha la capacità per essere candidato.
Non so se sarà scelto lui ma ho anche sentito dire che sarebbe stata la persona adatta da contrapporre a Daniele Marantelli, qualora il deputato del Pd avesse avuto la meglio alle primarie di coalizione. Ma ha vinto Davide Galimberti e qualcuno ha detto che Malerba non è il candidato giusto da mettere in campo per questa sfida. Non capisco la logica e in ogni caso il centrodestra dovrà pur darsi una mossa, facendo capire su chi vuole puntare.
Me lo ha chiesto la Lega perché fra la mia famiglia e Attilio Fontana c’è un’amicizia molto forte. Ha insistito anche Bobo Maroni ma in questo momento io ho altre priorità.
Devo pensare alle quattrocento persone che lavorano per me e alla mia famiglia perché la cosa che desidero di più è stare vicino ai miei figli. Certo anch’io sento di volermi impegnare in senso civico e tante persone che mi conoscono mi hanno invitato ad accettare la candidatura. Ci sarà il tempo anche per questo ma non subito: con Maroni non ci siamo neppure seduti a parlare di eventuali programmi.
Non deve solo pensare all’interesse di parte ma soprattutto al bene della comunità e deve dare una bella sveglia alla città.
Serve una politica del fare: chiunque sarà sindaco, dovrà sciogliere le briglie, tenute strette. La priorità è la stessa a livello nazionale e riguarda la sicurezza: l’emergenza immigrazione va risolta tenendo presente l’integrazione ma anche il rispetto della legge. Poi occorre liberare l’iniziativa privata. Non si tratta di strafare: bastano poche cose ma da incominciare e portare a termine.
Sentivo dire da un candidato alle primarie del Pd, sconfitto per fortuna, che se fosse stato eletto sindaco lui avrebbe bloccato tutte le opere incominciate da chi è venuto prima di lui. Semmai serve una accelerata. Un mandato dura cinque anni e vola: è già un successo, in questo arco di tempo, sistemare piazza Repubblica, sbloccare l’area della ex Aer Macchi e avviare infrastrutture viabilistiche.
No, ovviamente serve molto altro: gli impianti sportivi vanno sistemati, le zone dismesse rivitalizzate e la ricettività alberghiera e turistica potenziata per rendere Varese una località molto più attrattiva di quelle che è.
Sarebbe un midoux: mezzo dolce e mezzo amaro. Va consumato con il caffè ma avrebbe bisogno di qualche ingrediente un po’ nuovo per completare la ricetta.n