– La Casa del Disco è ormai vuota ma per la gente non è ancora chiusa. Basta fermarsi per una chiacchierata con Mauro Gritti per vedere clienti più o meno affezionati entrare decisi dalla porta . «Mi spiace – dice Mauro ad una coppia di anziani – “siamo chiusi”. Il signore alza gli occhi al cielo e: “Oh, mi scusi – risponde dispiaciuto – l’ho letto qualche giorno fa ma sa, l’abitudine». A giudicare dai capelli bianchi l’abitudine della coppia è datata.
La mia prima volta alla Casa del Disco è stata nel 1977. Ero malato di musica e di conseguenza delle radio private che già frequentavo nella zona della Valle Olona dove abitavo. Mi capitò di sentire un nastro registrato dal vivo intitolato Sultans of swing. Lo suonavano i Dire Straits. Poco dopo pubblicarono il loro primo album con lo stesso titolo, ovviamente introvabile in Italia. Al mio paese, Gorla Minore, abitava anche Teresa proprietaria con suo marito Gege della Casa del Disco in via Medaglie d’oro a Varese. Andai da Teresa per chiederle come potevo comprare quel disco che mi piaceva da impazzire. Mi rispose che dovevo solo avere un po’ di pazienza perché me l’avrebbe ordinato. Quando il disco arrivò saltai in sella al mio Garelli affrontando il viaggio a Varese, tornando a casa con la colonna sonora della mia vita.
Ad incoraggiarmi e convincermi a vivere di dischi furono sempre Gege e Teresa.
Il primo negozio lo aprii a Gorla ma nel giro di un anno mi si presentò l’occasione di trasferirmi a Busto Arsizio. Le cose andarono subito bene e quindi allargai l’attività aggiungendo quella all’ingrosso, in collaborazione con Roberto Trevisan, figlio del grande capo della Fonit Cetra. Nel 1986 Gege e Teresa mi invitarono all’inaugurazione del nuovo negozio in piazza del Podestà. Nel frattempo il rapporto di lavoro con loro era cresciuto al pari dell’amicizia fino a quando decisero di lasciare proponendomi di continuare la storia della Casa del Disco.
Il passo era di quelli tosti e da solo mi sembrava azzardato. Grossi gruppi editoriali erano già pronti con offerte importanti ma Gege e Teresa erano determinati a non snaturare la loro creatura e alla fine mi convinsero. Da una cena tra amici uscì la convinzione di potercela fare. Il primo giorno d’apertura al pubblico della mia Casa del Disco fu martedì 2 maggio 2000.
Più che singoli episodi, quello che più mi da fastidio è la maleducazione. Altra cosa andata crescendo, influendo sui costi di gestione, sono i furti. Anni fa ci accorgemmo che un professionista varesino faceva man bassa. Con uno stratagemma lo beccammo con il “bottino” costringendolo a confessare. Il giorno stesso ricevetti la telefonata di un monsignore che mi invitava a non denunciarlo e tutto finì lì.
Una coppia di fidanzati mi chiese di fare da noi la lista di nozze. La cosa mi sorprese non poco. Finì che dovemmo aggiungere un sacco di titoli perché amici e parenti facevano a gara per comprare il disco che a loro parere non doveva mancare in casa degli sposi.
L’unica cosa certa è che nient’altro potrà mai essere la Casa del Disco. Potrà essere un negozio di dischi. Come colonna sonora metterei senz’altro Sultans of swing, Springsteen, Pink Floyd, Bennato, De Andrè.
Probabilmente ho sbagliato anch’io. Ad esempio nel voler restare nel centro storico, con personale professionale. Ma la causa principale sono i costi. Solo di spazzatura e per l’insegna non bastavano 3.000 euro l’anno.
Tralasciando il fatto che le compagnie telefoniche regalano musica facendola pagare in altre forme, la domanda genera una domanda: perché non si vendono i dischi che costano come o meno di quindici anni fa e i concerti con prezzi sempre più sconcertanti fanno la fortuna di cantanti e case discografiche? Sarà il tempo che passa cambiando la cultura, le priorità, le abitudini. Non si può che prenderne atto e voltar pagina.
La chiacchierata è interrotta dal rumore della porta che si apre. È un signore di mezza età ma stranamente Mauro non lo ferma sulla porta. «M’ha chiamato ieri – spiega – per chiedermi se poteva prendere qualcosa dell’arredamento. Una richiesta che mi hanno fatto in tanti. Chi un pannello, una vetrinetta, i cartelli che indicavano i diversi generi, una lampada, contenitori, addirittura una vecchia telecamera da muro. Vecchi clienti che vogliono salvare qualcosa della “loro” Casa del Disco».Non è un’insegna, una piazza o un locale che crea nella gente l’abitudine ad aprire la porta di una casa. Sono le persone. Il padrone di casa che, oltre a vendere musica, la domenica tifava Pro Patria e in settimana si emozionava guardando i tifosi del Varese in fila davanti al suo negozio per comprare biglietti che regalavano sogni. E poi chi in quella casa è entrato per lavorare, per comprare, per ascoltare le novità di ogni angolo del mondo o anche solo per dare un’occhiata come si fa ancora nelle librerie.I tempi sono cambiati e la sera del 31 gennaio la luce della Casa del Disco per intere generazioni di varesini si spegnerà per sempre ma:
Senti un brivido nella notte
ha piovuto nel parco ma intanto
a valle tu ti fermi e sai che possiedi tutto.
Una band sta suonando un Dixie al tempo di due quarti
e tu ti senti bene quando ascolti il suono di quella musica…