– Dopo il “Guardian”, il “Corriere della Sera”. Anche il quotidiano di via Solferino ha dedicato un articolo al negozio di dischi di . E ieri, in piazza Garibaldi, il telefono è impazzito. «Amici, conoscenti, clienti che chiamavano per complimentarsi. E poi su Facebook, una valanga – racconta il diretto interessato – Però non vorrei che si esagerasse». Eppure i motivi per essere orgoglioso certo non mancano: i cinquant’anni di carriera all’interno del negozio fondato dal padre, due riviste di musica create da zero – “Mucchio Selvaggio” e “Buscadero” – e un ruolo di mentore per generazioni di rockers.
Ma è vero, come scrive il Corsera, che da Carù non si vendono i Modà? «In realtà a me piacerebbe fare come il protagonista di “Alta fedeltà” (film tratto dall’omonimo libro di Nick Hornby, ndr) che, quando un cliente gli chiede un disco di Whitney Houston, quasi quasi lo manda direttamente al diavolo» ride. Rispetto al gruppo di Kekko Silvestre, «stavamo solo scherzando col giornalista del Corriere, poi l’ha pure scritto». I fan dei Modà,
quindi, possono stare tranquilli. Al massimo, sappiano che riusciranno più facilmente a far felice Carù se chiederanno musica diversa: «Se vendo un album dei Gov’t Mule o dei Grateful Dead è chiaro che è un’altra soddisfazione. Ma è una questione di gusto personale».Eppure è proprio specializzandosi in un particolare genere musicale e conservando i vinili sugli scaffali anche nell’epoca della musica “liquida” che Carù continua ad esistere. Pure in un momento in cui i negozi indipendenti chiudono, come è capitato in questi giorni alla Casa del Disco di Varese. «Ho sempre seguito la mia politica, proponendo dischi che mi piaceva vendere. E che per fortuna la gente compra ancora». È forse per questo che dopo cinquant’anni di carriera «c’è ancora voglia di andare avanti. Anche se, per quanto il rock mantenga lo spirito giovane, non sono più giovanissimo». L’ora della pensione, però, non è ancora arrivata. Magari per definire il progetto cui Carù vorrebbe dedicarsi una volta chiuso il negozio.
«È un’idea che ho avuto con alcuni amici appassionati, quella di creare una fondazione cui donare tutti i nostri dischi rari, le nostre collezioni» spiega ancora Carù. Non è difficile immaginare la ricchezza che potrebbe vantare una simile realtà, basti pensare che solo quella del titolare del punto vendita di piazza Garibaldi supera i 50 mila pezzi. «Non so dove, dovremo trovare qualcuno, un’associazione interessata, non è nemmeno detto che si faccia in Italia». La città di Gallarate e gli appassionati di musica, insomma, rischiano di perdere un vero e proprio polo culturale. Per la pensione, ammette però lo stesso Carù, «c’è ancora tempo». E per i clienti che ieri hanno tempestato di telefonate il punto vendita di piazza Garibaldi, parafrasando il titolo di una celebre canzone degli Who, varrà certamente il motto “Long live Carù Dischi”.