Quando muore uno come Cesare Maldini, hai voglia a farti condizionare dal senso di appartenenza ai colori per cui fai il tifo. Il cordoglio unanime che ha generato la scomparsa dell’ex capitano del Milan fa fin pensare che – in fondo – anche nelle contese esista davvero un sincero rendere l’onore delle armi, senza la retorica del giorno dopo. Forse è un’illusione, o forse no.Di sicuro in questa operazione di massa aiuta Cesare Maldini in quanto tale.
Cioè: un vincitore e vincente (primo capitano italiano ad alzare la coppa dei campioni) che è stato la perfetta sintesi dell’anti-eroe. Già sul viale del tramonto da calciatore quando lo sport diventava a colori; difensore triestino vecchissima maniera, gambe a X e piedi in dentro (tratto poi ereditato dal figlio Paolo). Ancor più goffo con le parole, quasi balbuziente, aveva un accento che pareva fosse straniero. Infine, una tintura ai capelli grossolana, soprattutto perché in testa ad un uomo che pareva tutto fuorché uno che avesse paura di far vedere che invecchiava. L’anti-impresa più mirabile, si fa per dire, è però quella di essere stato un calciatore di grande successo oscurato dalla fama del figlio. Cioè: in un mondo di figli di papà che mai e poi mai ripercorreranno le gesta dei genitori, Cesare Maldini – pur grande vincente – è stato battuto dal figlio Paolo. Nonostante tutto, non è Paolo un figlio di papà, ma è Cesare un papà di figlio. Una splendida anomalia che, a voler ben vedere, realizza ciò che ogni buon padre vuole per i suoi figli: che facciano di più e meglio. Di sicuro, infine, nella celebrazione unanime aiuta la convinzione che il calcio di Cesare Maldini fosse qualcosa di migliore e diverso. Al diavolo le rosicate, le gufate, l’elenco dei titoli, le vittorie sul campo, il complottismo; al diavolo gli anticipi e i posticipi e il lunch match; al diavolo la tessere varie, il cambio nominativo, l’andare allo stadio da programmare un mese prima. La parola Maldini ci riporta a un mondo lontano anni luce, di domeniche scandite dalla sequela messa-pranzo-radiolina, di trasferte a San Siro col pranzo al sacco quasi fosse andare sulla luna. Mica secoli fa; eppure sembra tutto in bianco e nero, come quella foto con la coppa dei campioni sopra la testa, dopo aver battuto il grande Eusebio, con un sorriso incontenibile davanti ad una tribuna d’onore di giacche e cravatte, con di fianco il sempre giovanissimo Gianni Rivera avvolto in un improbabile trench scuro.Non sappiamo se quel calcio là, quello dei Maldini e dei Mazzola e dei Rivera e dei Riva, fosse così avulso da cultura del sospetto, intrighi e combine. Ma in giorni così, in cui un anti-eroe se ne va, ci piace pensarlo.