La mancata vittoria dell’AlbinoLeffe prolunga l’agonia della Pro Patria.
Ma la retrocessione, inevitabile epilogo di una stagione umiliante per i colori biancoblù, è solo rimandata. I numeri sono inequivocabili: in 29 gare disputate, la Pro Patria ha raccolto sul campo la miseria di 10 punti (ridotti poi a 7 dalla penalizzazione). Già 21 le sconfitte, 13 i gol realizzati, 49 quelli subiti: un disastro. E le ultime cinque giornate non faranno altro che peggiorare un bilancio che suona offensivo nei confronti di quei tifosi che ancora hanno la forza di seguire la squadra (perfino nelle trasferte più lunghe e scomode).
La Pro Patria affonda in Serie D nell’indifferenza generale. Un silenzio assordante per quei pochi che ancora hanno a cuore le sorti di quello che è (stato?) un simbolo e un vanto di Busto Arsizio. Certo, erano altri tempi quelli in cui la Pro Patria riempiva lo “Speroni” e i tigrotti si facevano rispettare da tutti. Era anche un’altra Busto, più florida, più ricca, forse più orgogliosa e fiera della propria storia. La città oggi assiste impassibile al crepuscolo della Pro Patria.
Al “Carlo Speroni”- un tempo teatro delle prodezze di Antoniotti, Candiani, Reguzzoni, e poi di Zaffaroni, Tramezzani, Serafini – ora passeggiano allegramente il Pro Piacenza, il Renate e la Giana Erminio. La gloriosa Pro Patria ridotta ormai a una triste comparsa della Lega Pro, la squadra materasso che tutti vogliono incontrare per essere sicuri di rimpolpare la propria classifica. Ma chi è davvero dispiaciuto per questo declino apparentemente inarrestabile? L’interesse degli esponenti politici cittadini per la Pro Patria oscilla tra il tiepido e l’inesistente. L’imprenditoria locale – da tempo – resta alla larga da un club il cui blasone è stato gravemente offuscato dalle vicende negative (di tutti i tipi) di questi ultimi anni. Le stesse vicende che hanno – gradualmente ma inesorabilmente – allontanato sempre più tifosi dallo “Speroni”, oggi malinconicamente ridotto a una cattedrale nel deserto.
Ma se è vero che i problemi nascono da lontano, ciò non esime chi ha gestito la Pro Patria in questa stagione dall’assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Ammettendo i propri errori in maniera franca e senza giri di parole. Nel corso di questa paradossale stagione abbiamo sentito parole accorate solo da Patrizia Testa, la meno responsabile della situazione, sia perché detiene solo il 30% delle quote, sia perché non si è mai tirata indietro quando è arrivato il momento di mettere mano al portafogli. E gli azionisti di maggioranza? Ci saremmo aspettati da loro delle doverose scuse ai tifosi per lo scempio di questa stagione. Ma sia il presidente Nitti sia il suo entourage, hanno sempre preferito sorvolare sui propri errori, spostando l’attenzione su altre questioni.
Anziché chiedere le scuse, le hanno accampate: dalla partenza in ritardo (che non può giustificare un campionato così disastroso) alla scelta di Oliva effettuata dalla componente bustocca della società (ma Oliva ha guidato la squadra per quattro partite: e poi?), dalla penalizzazione ereditata dalla stagione scorsa (ma tre punti erano facilmente recuperabili) alle presunte qualità, mai peraltro dimostrate in campo, di diversi componenti della rosa, fino ai progetti di ripescaggio in vista della prossima stagione. Se la Pro Patria verrà ripescata, lo vedremo. Di certo c’è che in questa stagione se ne sono viste di tutti i colori (citiamo en passant anche la cacciata di Pala, voluta da qualche senatore, per chiudere la stagione con Mastropasqua senza patentino e il “patentato” Alvardi chiamato da Roma in fretta e furia) e nessuno si è ancora assunto apertamente le proprie responsabilità: né Nitti, né tantomeno Fulvio Collovati, dileguatosi in silenzio da Busto dopo aver allestito una squadra senza capo né coda.