L’amore più forte della malattia. Federica e Giorgio ce lo insegnano

L’editoriale di Fabio Gandini

«Ho passato mesi tra la rassegnazione e la rabbia, poi è arrivato l’amore… Ora sto migliorando, senza che vi sia un’apparente spiegazione medica». Federica passa direttamente ai dati clinici. «La malattia mi stava annullando la vista: vedevo due decimi da un occhio e tre decimi dall’altro. Ora, in pochi mesi, sono arrivata rispettivamente a quattro e a sei»Brividi. Perché non è detto che una posizione di terzietà (in questo caso quella di semplice ascoltatore “professionale”) rispetto a una vicenda umana debba necessariamente essere uno schermo che annulla le emozioni.

Se chi racconta, chi è dentro, riesce a trasmettere con dovizia le sue emozioni a chi sta fuori, e chi ascolta è capace di immedesimarsi lasciando spalancata la propria anima, ecco che la magia si compie. Brividi, dunque. Perché in quel «poi è arrivato l’amore…» c’è il profumo di una forza misteriosa e ancestrale, un filo invisibile ma in grado di segnare il confine tra un prima e un dopo nella vita di un essere umano. Federica (abbiamo raccontato la sua storia sul giornale di mercoledì) soffre di una sindrome rara e per i dottori (non per tutti, fortunatamente) è diventata solo una percentuale, precisamente l’1% della popolazione mondiale. Federica, nonostante ciò, combatte, non molla un centimetro del suo quotidiano, è stata capace di non fermarsi a quell’1% e di trovare altri ammalati come lei, convogliando su di sé le loro storie, comuni e diverse allo stesso tempo. Federica non sta guarendo: per farlo davvero servono progressi nella ricerca medica, oggi alle prese con qualcosa che non conosce fino in fondo (e lei stessa, con il comitato che ha recentemente creato, sta spingendo in questa direzione). Federica sta semplicemente e meravigliosamente meglio ed è stata lei a spiegarci come. L’amore… Nel suo caso si chiama Giorgio e ha le sembianze di un ragazzo d’oro che ha intenso il percorso insieme nel segno della condivisione. Ma si poteva chiamare in altri modi, manifestarsi in altre forme, assumere altre sembianze. Il punto che la sua storia richiama in superficie è l’esigenza di alimentare senza pause ciò che rimane il vero motore del mondo: l’amore verso gli altri, comunque declinato. Custodiamolo questo amore, se ci è data la fortuna di riceverlo. Doniamolo a piene mani, senza paura di farlo e senza fare i conti tra dare e avere. Cerchiamolo disperatamente e fino all’ultimo giorno della nostra esistenza, se ancora non ci circonda. Perché arriverà e sposterà le montagne, capace – com’è – di cambiarci i connotati e di compiere miracoli.