«Il mio viaggio tra i fantasmi di 30 anni fa»

1986-2016 - Il 26 aprile, all’una e 23 minuti, il disastro della centrale nucleare di Chernobyl. Una mostra in città

Il tempo si è fermato nel 1986. Da allora più nulla. Abitazioni abbandonate, strade deserte. La pista dell’autoscontro tra le foglie, una ruota panoramica che fa da sostegno alle piante, bambole scomposte, libri impolverati, falce e martello sull’insegna in cima a un edificio.Sono le immagini della città ucraina di Pripyat, una città fantasma, “morta” il 26 aprile di 30 anni fa quando i suoi 50mila abitanti furono costretti ad abbandonarla. E da allora questa cittadina è

diventata l’emblema del disastro nucleare di Chernobyl. La forza della natura si è ripresa il territorio, come ha documentato nei suoi scatti , in arte Enola Brain. Alessandro è un fotografo per passione. Lo scorso anno, in occasione del ventinovesimo anniversario della catastrofe di Chernobyl, è riuscito a partire da Luino per un viaggio nella città che, negli ultimi trent’anni, è passata dall’era nucleare all’era della pietra. È a Pripyat che si trovava la centrale. Ed è questa cittadina, un tempo ricca di vita, ad averne sofferto i danni devastanti. Chernobyl ha subito meno i nefasti effetti della contaminazione radioattiva perché la notte di quel 26 aprile non era sottovento. Pripyat è, invece, da quel tragico giorno un luogo abbandonato. «Pripyat era una città vivace – racconta Lucca – Contava ben 50 mila abitanti, molti dei quali addetti all’interno dell’impianto nucleare. Tutto è rimasto congelato a quella notte. Sembra di essere all’interno di una delle ambientazioni della serie “The walking dead”». Per accedere bisogna essere accompagnati da una guida locale munita di tutti i permessi del caso. Pripyat rientra nella zona di esclusione: nessuno potrebbe risiedere all’interno dei 30 chilometri di raggio dalla centrale a causa dell’alta percentuale di radiazioni presenti.«Bisogna passare attraverso una serie di check in, posizionati ogni dieci chilometri e controllati da milizie ucraine. Per uscire è necessario passare sotto dei tornelli che misurano il tasso di radiazioni».«A ognuno di noi è stato fornito un contatore manuale di raggi gamma: usavamo una mascherina per evitare di inalare il pulviscolo, un paio di guanti e io anche un camice per proteggere i vestiti dalle microparticelle sospese alzate da tra dal vento». L’intera regione è diventata una riserva faunistica ricca con volpi, lupi, cavalli selvaggi, uccelli rari, orsi. Lucca e il gruppo di fotografi che hanno partecipato a questo viaggio con lui hanno pernottato nell’unico albergo rimasto aperto a Chernobyl. Colazione, pranzo e cena venivano consumati nella mensa adibita ai tecnici e ingegneri presenti nell’impianto nucleare. «A Chernobyl, a parte qualche anziano che ha deciso di tornare a vivere nella propria casa abusivamente, vivono solo i tecnici che stanno lavorando al nuovo sarcofago per il reattore numero 4, quello esploso che è ancora instabile». Le fotografie di Alessandro Lucca saranno in mostra allo Spazio Futuro Anteriore, in via Speri della Chiesa, da oggi al 6 maggio. In occasione dell’inaugurazione, alle 18.30, vernissage con la presentazione da parte dell’autore del viaggio.