«Pues qué linda esta Varese! Desde España hasta aquí para descubrir un lugar que tiene algo de mágico, donde un lago parece espejo de cerros y montañas blancas; donde la historia se lee dentro la belleza de edificios historicos; donde en cualquier sitio se puede encontrar comida tradicional cocinada con amor y pasión por personas así acogedoras. Varese es un lugar que merece ser conocida. Que viva Varese!».
È la bellissima lettera inviata ieri in redazione da Raùl
Jimenez, di passaggio a Varese, che non merita traduzione perché rovina l’immaginazione anche di chi non conosce lo spagnolo. È anche per “colpa” di una lettera come questa che “La Provincia” non vi torturerà mai con una sequenza micidiale di titoli pieni di immondizia, decadenza, brutture, incultura, incidenti, delinquenza (manco fosse la banlieue più turbolenta). Ed è sempre “colpa” di Raùl se noi non crediamo ai cartelloni elettorali che parlano di una città vecchia, seduta, pigra, chiusa, morta (bel modo per convincere i cittadini a votarti). Il peccato è negli occhi di chi guarda, si dice. Ma in quegli occhi, se arrivano da lontano e non hanno malizia come quelli di Raùl, ci sono anche l’innocenza e la purezza, lo stupore e la passione, la storia e la bellezza.
Se nelle ultime settimane c’è la fila per entrare in una lista elettorale (la politica fa così schifo ma vi state candidando tutti: perché?), se ai piedi della funicolare due ventenni aprono un nuovo locale, se piazza Monte Grappa è strapiena di famiglie per la festa dello sport, forse Raùl non ha del tutto torto, o no?