Quando sono i numeri a parlare, parlano chiaro: così li snocciola , commercialista varesino e presidente di Finlombarda, società finanziaria di Regione Lombardia. Alla fotografia scattata mette pure una didascalia, presa dall’intervento conclusivo del presidente degli industriali varesini, Riccardo Comerio, all’ultima Assemblea Generale: “Continuiamo a darci una opportunità!”.
In provincia di Varese gli impieghi del sistema bancario – il denaro erogato dalle banche per investimenti e consumi – è passato da 16 miliardi e 869 mila di fine 2014 a 17 miliardi e 268 mila a fine 2015 con un incremento del 2,30%:
una performance media che ha avuto esiti migliori per Varese città (più 8,10%), Busto (più 7,62%) e Gallarate (3,96%). «Il dato – spiega Parrinello – dice che gli investimenti sono cresciuti in virtù di un clima di maggior fiducia. Gli investimenti generano occupazione che a sua volta genera consumi che rappresentano l’80% dell’economia reale». Visto da questa prospettiva il nostro territorio sembra aver fatto un pezzettino di strada rispetto alla crisi. Sul fronte del risparmio il dato sulla raccolta diretta da parte delle Banche (depositi e conti correnti attivi per i clienti) è passato da 14miliardi 420 mila euro a fine 2014 a poco più di 13miliardi alla fine dell’anno seguente, con un calo del 9,58%. «Non significa che le famiglie hanno risparmiato meno – commenta Parrinello –, ma che ci si è orientati verso forme di risparmio più remunerative come il risparmio gestito: con i tassi Bce sotto zero la raccolta diretta ha un rendimento pari a zero». Ma il ritratto dei flussi di denaro sul territorio è solo un pezzo di un puzzle complesso: a chi fa impresa serve una visone d’insieme.
«Tra gli economisti americani c’è chi parla della prossima crisi – spiega Parrinello – perché la distanza tra l’economia reale e quella finanziaria sta diventando incolmabile». A fronte di un Pil globale di 73mila miliardi di dollari, il mercato dei derivati vale 15 volte tanto. Si tratta di una bolla che potrebbe esplodere causando con gravissime conseguenze per l’economia mondiale, in particolare per i paesi con maggiore debito pubblico in rapporto al Pil come l’Italia e il Giappone. «La debolezza del sistema imprenditoriale italiano – dice Parrinello – sta nell’eccessivo indebitamento e nella scarsa capitalizzazione di molte imprese». Cosa può fare la singola impresa di fronte a questi possibili scenari? «La risposta sta in un minore indebitamento e in una maggiore capitalizzazione ma anche nella capacità di fare innovazione di processo e di prodotto e di investire in ricerca e sviluppo: nel nostro Paese l’investimento in ricerca e sviluppo continua ad essere troppo basso. Esiste una correlazione tra tasso di crescita del Pil e spesa per ricerca e sviluppo: la Germania ha una spesa pro-capite per ricerca e sviluppo di 682 euro e l’Italia di 193 euro». Sugli investimenti in ricerca e sviluppo, la Giunta Regionale e Finlombarda hanno puntato con finanziamenti e agevolazioni e favorendo l’emissione di titoli obbligazionari delle Piccole Medie Imprese. «Nessuna conquista per le imprese – conclude – è definitiva». Lo scenario apertosi con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione non fa che ricordarcelo.