La purezza della storia di Alessandro, il bambino che con prontezza ha soccorso la madre vittima di un malore a Marchirolo, è talmente cristallina da mettere in difficoltà i giornali e i suoi commentatori, usi – per sventurata abitudine – a ricamare parole più facilmente nelle disgrazie che nelle vicende a lieto fine.
D’altra parte, tuttavia, il rischio di una retorica fine a se stessa davanti a un cucciolo di uomo che contro ogni logica (se non quella mossa dall’amore
e dall’istinto, illogici per definizione) compie un gesto di una maturità e di una freddezza invidiabili e decisive per salvare il sangue del suo sangue, ribaltando i ruoli che la natura ha assegnato, è molto alto. Conviene, allora, fermarsi semplicemente ad ammirare estasiati la vita nelle strade in cui sceglie di dipanarsi. Come davanti a un panorama che riempie gli occhi e ristora l’anima, come quando ricevi un regalo inaspettato che scalda il cuore, come quando ti accorgi che l’amore esiste e sa essere ricambiato. Sorprese, si dice.
La storia di Alessandro è didascalica nel suo essere la testimonianza di un insegnamento messo in pratica («Ricordati cosa dice la mamma: quando una persona sta male, devi guardare gli occhi. Se non si muovono, vuole dire che è necessario chiamare i soccorsi»), ma è soprattutto meravigliosa nella sua bellezza di racconto in cui tutti gli elementi si incanalano – per una volta, almeno per una volta – nel verso giusto. Compreso quel destino capace di mettere gli occhiali e di guardare bene dove mettere la mano, donando al mondo un motivo per cui sorridere, gioire, sperare.