Sono portatore d’handicap, ma mi sono messo strane idee in testa: invece di stare a casa a pesare, ho deciso di lavorare. Per lavorare, però, devo prendere i mezzi. Non è semplice e lo so: nella mia carriera di “disabile in carriera” negli ultimi anni ho dovuto litigare con SEA, Trenord, ATM e comuni a suon di giornali. Croce delle ultime settimane è la metro milanese. ATM si vanta dell’accessibilità di molte stazioni, ma tra il dire e il fare c’è
di mezzo un montascale: i montascale sono ausili meno costosi di un ascensore, ma spesso pericolanti e lenti. Solo per arrivare ai binari ci metto 20 minuti. Ieri hanno dato il meglio di sé: il montascale di Porta Genova è crollato, rischiando di far cadere dalle scale me con addosso la mia sedia a rotelle. Sono dovuti arrivare i Vigili del Fuoco.
In questi giorni la mia storia è diventata virale e ATM (dopo i giornali) sta cercando una soluzione. Eppure posso ritenermi fortunato: gambe molli e testa dura, non mi arrendo. Ci sono però tanti portatori d’handicap in Italia che non hanno voglia e forza di lottare. In decine mi hanno confessato di aver rinunciato a un lavoro perché i mezzi accessibili non ci sono. E allora continuo a insistere, per me e per gli altri. Perché l’accessibilità in Italia sembra un riempitivo per i comunicati stampa, ma la vita reale richiede soluzioni concrete e possibili. Altrove, in Europa, posso prendere mezzi liberamente: qui no.
Continuerò a prendere la metro. Cascasse il mondo e cascasse il montascale. Fino a quando non si arrenderanno e sistemeranno le cose davvero. Che lo vogliano o meno: non saremo più invisibili.