Il leghista che si schiera con la rivolta dei cinesi di Sesto Fiorentino: «Usati come capro espiatorio dai buonisti. Leggete i loro volantini: sembrano quelli della prima Lega Lombarda degli anni ‘80». Come sempre fuori dagli schemi, il leghista , già direttore di Telepadania, sceglie di ergersi a difensore della rivolta della comunità cinese tra Firenze e Prato, scaturita da un’ondata di controlli nelle loro imprese. Proprio i cinesi che, nella narrazione lumbard andata per la maggiore,
hanno portato via il lavoro alle nostre imprese. «È una mia posizione personale, ma molti leghisti sono d’accordo con me – ammette Max Ferrari, che conosce bene il popolo del Dragone, essendo presidente dell’associazione Lombardia-Cina – l’impressione è che i cinesi siano il perfetto capro espiatorio, con cui il governo cerca di sviare il malessere diffuso sull’immigrazione. Se la prendono con la comunità migliore tra quelle di immigrati, la meno invasiva. In fatto di delinquenza, ordine pubblico e terrorismo non danno alcun problema, invece noi gli diamo addosso, manganellandoli e accusandoli di razzismo». Due pesi e due misure: «Manganellate ai cinesi che non battono gli scontrini e niente agli altri immigrati che compiono reati ben più gravi? – si chiede Max Ferrari – lo stesso pugno di ferro andrebbe applicato con tutti. Invece siamo al solito esempio di uno Stato forte con i deboli, ma debole con i forti». Così l’esponente del Carroccio passa dallo storico slogan leghista “Prima i nostri” al più attuale “Prima ci occupiamo dei terroristi che manteniamo negli hotel, poi dei cinesi». Ma perché proprio i cinesi sotto attacco? Un sospetto, Ferrari, ce l’ha: «È una comunità che non fa “gola”, sia da un punto di vista elettorale che di business dell’immigrazione. Da un lato, non portano voti, perché la maggior parte dei cinesi, essendo vietato nel loro Paese di origine il doppio passaporto, si tengono la nazionalità cinese. Dall’altro, non chiedono sussidi ma chiedono solo di lavorare in pace». Per Max Ferrari sono così il «cattivo perfetto da colpire», con un’iniziativa che sarebbe «pretestuosa» e propagandistica. Anche perché i cinesi «sembrano leghisti in salsa orientale – fa notare Ferrari – lavorano, pagano 250 milioni di Irpef all’anno, non chiedono sussidi allo Stato italiano, non vanno negli hotel stellati per finti profughi, non ingrassano le coop buoniste, non rubano, non si ubriacano e non spacciano nelle nostre strade, e addirittura organizzano le ronde contro i delinquenti che rubano nei loro negozi e nelle loro imprese e che violentano le loro donne». Una lezione anche per il popolo leghista, dal bandierone cinese issato nel corso della manifestazione: «Non mi sembra gente che vuole creare uno Stato nello Stato, solo persone esasperate. Non sono le banlieues parigine dove per 15 giorni gli immigrati africani hanno messo a ferro e fuoco la città, spargendo paura e scompiglio. Anche noi dovremmo tirar su il nostro bandierone lombardo, non per andare contro lo Stato, ma per ricordare, per la serie “anche i buoni s’incazzano”, che è ora di finirla con i soprusi contro il popolo».