«Disperati pronti a tutto pur di riuscire a lavorare»

Dopo il blitz - L’avvocato Massarenti assiste uno dei profughi scoperti alla cava di Vedano: «Sfruttata la povertà»

– Pensava dovessero soltanto ringraziarlo per averli costretti a vivere in un container in mezzo alla cava in condizioni igienico sanitarie devastanti, «almeno non sono sotto un ponte». Dopo il blitz dei carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Varese in un sito di cavatura di Vedano Olona, che ha portato all’emersione di una situazione definita dagli inquirenti di assoluto sfruttamento, emergono nuovi dettagli del concetto di lavoro che, quanto meno il responsabile della cava, aveva.

Per fare da custodi al sito venivano assoldati, in nero, stranieri, o meglio profughi con status di rifugiati politici. «Persone disperate – spiega , legale di uno dei custodi in questione – che avrebbero accettato qualunque condizione pur di poter lavorare».
Le condizioni erano una paga dai 300 ai 400 euro mensili, nessuna tutela, nessun contratto, nessun giorno di riposo (se stai a casa non tornare) e appunto un container come alloggio. Di questo, secondo il responsabile del sito, avrebbero dovuto essere grati questi lavoratori. «Il mio assistito – spiega Massarenti – ha semplicemente chiesto di potersi assentare per un periodo dal lavoro. Gli è stato detto di non tornare, oggi è disoccupato. Il punto, però, è che, giocando sulla disperazione, è stato immediatamente individuato un sostituto. Un profugo, con status di rifugiato politico, un fatto gravissimo. Ci si scandalizza leggendo delle condizioni dei lavoratori che nelle regioni del sud raccolgono pomodori rischiando la salute, senza tutele, e poi scopriamo che la stessa cosa si realizza a due passi da casa nostra».
Il blitz è costato una denuncia a piede libero all’amministratore delegato della cava, oltre a sanzioni per un ammontare complessivo di oltre 200 mila euro. I lavoratori, ora, possono far valere i loro diritti. «Dobbiamo ancora studiare gli atti in modo approfondito – spiega Massarenti – potremmo cercare di risolvere la situazione in modo extraprocessuale, ma visto l’atteggiamento avuto dalla controparte, quell’accenno alla gratitudine, credo che la strada che alla fine dovremo percorrere sarà quella di una causa di lavoro. Causa di lavoro che, grazie all’intervento dei carabinieri e dell’ispettorato del lavoro, sarà più semplice combattere per vedere garantiti tutti i diritti dei quali questi lavoratori sono stati privati nel corso degli anni». Al momento è stato indagato l’amministratore delegato della cava. Da verificare sarebbe anche la posizione del gestore il quale pare sapesse perfettamente in quali condizioni queste persone fossero costrette a lavorare.