Fabio è il papà di Giorgia e Giulia. Giorgia, 4 anni, si è salvata. Non Giulia, che ne aveva 9. Giulia ha fatto scudo con il suo corpo, assieme a una trave, a Giorgia. Giorgia, tirata fuori dalle macerie a Pescara del Tronto, avvisa con un pianto che è viva. La portano all’ospedale, sta meglio, si riprende. Al risveglio trova la bambola Elsa, principessa di Frozen, vicino a sé. La accarezza e sorride. Giulia non piange,
quando la tirano fuori. Neppure sorride. Né ha bambole lì accanto. Però la coprono con un telo bianco, che è il colore di uno dei vestiti di Elsa. Sembra anche lei una bella principessa. Davanti alla bara di zinco Fabio dice, riconoscente invece che disperato: qualcuno sta lassù a proteggerci, mi è stata portata via una figlia, ma lasciata un’altra. Proteggerci significa proteggere lui e la moglie, scampati miracolosamente alla catastrofe. Lei ha un femore rotto e altri danni. È in un letto, sofferente. Guarirai, la consolano. Guarda lontano e tace. Poi insiste per farsi portare davanti al feretro, stringe a sé la foto di Giulia e sussurra: mamma ti ama. Immagini, parole e silenzi fra i tanti, dai paesi devastati dal terremoto. Racchiudono, esprimono, insegnano che cosa sono il dolore dignitoso, la fede profonda, l’inchinarsi al destino. Ecco, se c’è qualcosa più di ogni altra che questa tragedia ci sta mostrando è l’umiltà silenziosa nell’accoglierla da parte di chi ben comprenderemmo se gridando la rifiutasse. Come farebbe Elsa, se non fosse più la principessa di Frozen. Se l’accostamento non è irriverente: ne avrebbe l’animo terremotato, come i paesi devastati che ci hanno sconvolto il cuore. Ma restituito Giorgia.