E poi c’è qualcuno che pensa ancora tutto questo sia soltanto una semplice partita di pallone, e davvero non ha capito che il pallone è l’ultimo aspetto di una cosa molto più grande. “Cos’è il Varese?”, chiedeva un giorno quel bambino a cui il nonno aveva messo al collo una sciarpa biancorossa.
Il Varese è quella sala piena di gente, venuta da tutta la provincia, per una presentazione alla quale ognuno si è giustamente sentito invitato. Il Varese è l’applauso più forte fatto a mister Ramella, che sulla panchina di questa squadra deve ancora dimostrare tutto ma che nel cuore dei varesini ha già dimostrato tutto. Il Varese è la voglia – anzi, no: il bisogno – di esserci, al di là della categoria e degli avversari che si incontreranno: perché è come se ci fosse una tradizione da portare avanti. Il Varese sono le mani strette a chi ci ha fatto innamorare di questa squadra e ci ha insegnato a rispettarla, e il fatto che ieri mattina tutti lo cercassero per un saluto significa che non l’ha insegnato soltanto a noi.
Il Varese è una fetta di questa città, piaccia o no: ogni volta che qualcuno ha provato a farlo morire il cuore dei varesini l’ha salvato prendendolo per i capelli, ogni volta che qualcuno ha provato a fargli del male i varesini sono scesi in campo per difenderlo. Non sono le nuove divise, seppur belle, ad avvicinare squadra e città: sono le cicatrici sulla pelle di chi ha vissuto, in tutti questi anni, una storia vietata ai deboli di cuore.
E ai chi pensa che tutto questo, in fondo, sia solo una partita di pallone.