Ricordate il gioco di sguardi, la magia adolescenziale del turbamento, il dubbio, amletico ma elettrizzante, sul significato di quella frase o di quel sorriso? Quanti primi amori sono nati così? E quante prime delusioni, inciampi, pianti accanto al telefono (fisso) che non squillava, col fratello maggiore a darti del cretino e la mamma che sentenziava: se non ti vuole, non merita. Beh, custodite gelosamente quei ricordi, perché non torneranno più. Mistero e civetteria rischiano di estinguersi,
o di finire in soffitta. Per volere delle decine di milioni di persone che hanno già aderito a Tinder, il nuovo social dell’appuntamento facile. Semplice, diretto, concepito per evitare equivoci e andare a colpo (quasi) sicuro. Ti iscrivi al social, ti presenti e formuli le tue preferenze. Al resto pensa lui, cioè Tinder, che in base ai tuoi gusti, ma anche alla zona geografica in cui graviti, ti sforna alcuni profili di persone che potrebbero piacerti. Qualora trovassi un (potenziale) interlocutore di tuo gusto, clicca l’immancabile “mi piace” e incrocia le dita, perché la palla passa poi al prescelto/a. Che potrà rimbalzarti, oppure ricambiare il tuo like affermando che l’interesse è reciproco. Solo così sarà possibile approdare allo stadio più riservato, quello della chat privata. Dove si potrà approfondire la conoscenza, scambiarsi recapiti, darsi appuntamento e finalmente incontrarsi. Dopodiché, l’ultima parola spetterà a Cupido. Che avanti di questo passo rischia di restare disoccupato. Sopraffatto dalla nostra pigrizia, dal nostro tecnologico materialismo. E da una crescente allergia a frammenti di esperienza che ieri trovavamo vitali e che oggi consideriamo delle inutili perdite di tempo.