Dal Golfo dei Poeti, tanto caro a Byron, di fronte all’isola Palmaria, con Busto Arsizio e La Provincia di Busto nel cuore, sto per riprendere il colloquio e le riflessioni con l’affezionato e qualificato parterre dei lettori. E, more solito, sarei tentato di cominciare, come spesso in questi mesi ho fatto. Ricordando, cioè, che torniamo a voi, a noi, tempestivi e puntuali come il rintocco di un campanile che ci sta nel cuore. Quando, all’improvviso, mi accorgo che no,
oggi non è e non può essere così. Oggi, 31 agosto, non possiamo citare un campanile, né un rintocco, senza farci imporre temi, riflessioni, articoli ed emozioni da un altro campanile, da un altro calendario, da un altro orologio. Quello inesorabilmente fermo alle 3 e 35 di una notte in cui se non l’impossibile, almeno l’imponderabile è entrato nella nostra storia personale e in quella della nostra Città e del Paese intero, e non solo in quella delle comunità che, da Amatrice a Borbona, da Accumoli a Pescara del Tronto, tra il Lazio, le Marche e l’Umbria, hanno subito i danni del terremoto del Centro Italia. Sì, oggi è doveroso , obbligatorio, per nulla retorico ricordarci, prima ancora di essere orgogliosamente e fieramente bustocchi, di essere italiani, di far parte di una comunità, almeno questo me lo si consenta, che in tutti i momenti drammatici della storia del Paese ha saputo essere esemplare. Per un giorno lasciamoci alle spalle polemiche, divisioni, ricerche, pur doverose, di colpe e responsabilità, e cogliamo l’occasione per fare emergere il meglio, che è tanto, straordinario, eccezionale, della nostra capacità di essere popolo. Lo siamo stati sempre, e in ogni occasione. Oggi abbiamo il dovere e la responsabilità di esserlo ancora di più e meglio. E, se devo giudicare dalla pronta risposta di Distretto del Commercio, imprenditori, Chiesa locale e singoli cittadini di Busto Arsizio, posso consapevolmente dire che siamo sulla buona strada. Noi italiani, si sa, siamo un popolo unico e straordinario, nei pregi come nei difetti, spesso emblema vivente dell’ambiguità e dell’incertezza, degli ossimori che camminano. È però nel dolore, soprattutto collettivo, che cambia in noi la percezione della realtà, emerge il lato buono e commendevole dell’anima incerta.
Un popolo, spesso oscillante tra generosità e rancore, tra meschinità e slancio, si riscopre e si risveglia di getto, dedito e bramoso di dare e di rendersi utile. Se è vero allora che il dolore ci cambia, è altrettanto vero che dobbiamo essere in grado di capitalizzare l’opportunità offertaci da una realtà che nessuno di noi avrebbe voluto o vorrebbe vivere. Un grande e controverso italiano, spesso controcorrente e sempre provocatorio, affermò quasi a controcanto dell’Italia risorgimentale che gli Italiani ci sono, ciò che manca è l’Italia. Forse volendo, più che altro, sottolineare che non mancano Italiani veri, manca un’idea di Italia in cui la classe dirigente, la burocrazia e la politica, sappiano riconoscersi. E , allora, prendiamo spunto dallo sportivo e spartano sindaco di Amatrice, passato dallo sconforto di “Amatrice non c’è più” all’alpino e orgoglioso “dopo ogni notte oscura, il sole risorge”. Dal determinato sindaco-allenatore in felpa con la scritta Amatrice, che invita tutti ad indossare una felpa con scritto “Italia” e camminare insieme. Amatrice, terra povera nota ai più per gli spaghetti alla amatriciana ha oggi, nel dramma, la possibilità di mostrarci di che pasta siamo fatti. Come popolo, come Paese, sì, ma anche come Città. Verrà il tempo di contribuire ai programmi di ricostruzione. Come spesso accaduto in passato, di adottare asili, scuole, di contribuire anche a idee e progetti di messa in sicurezza infrastrutturale. Non sprechiamo un’opportunità per essere ancora un volta degni, noi bustocchi, del nostro passato.
Sono anche certo che l’amministrazione comunale sarà in grado di svolgere, ancora una volta, un ruolo discreto ma efficace di regia delle straordinarie realtà associative, sociali, imprenditoriali e culturali di cui la nostra città è eccezionalmente ricca. Per quanto ci concerne, abbiamo voluto condividere con lo Slow Food, certo, ma ancor più con i ristoratori locali, il Distretto Urbano del Commercio e, soprattutto, il Magistero dei Bruscitti di Busto Grande, il gesto simbolico e non solo dell’ amatriciana solidale. Il Gran Maestro Antonio Colombo, come avete modo di leggere, ha con entusiasmo sposato l’idea di una sorta di gemellaggio gastronomico tra Busto Arsizio ed Amatrice. In fondo, la pasta all’amatriciana nasce come cibo povero per un popolo di pastori che univano il prodotto della pecora e del maiale (pecorino e guanciale), analogamente alla nostra Polenta e Bruscitti che era il cibo povero ed insieme aggregante di famiglie di contadini che hanno forgiato, vincendo l’aridità della terra, un popolo di imprenditori. Attenti al profitto, certo. Ma anche alla famiglia e alla società solidale. C’è chi in questi giorni ricorda anche che l’economia, se accompagnata dalla intelligente e onesta lungimiranza bustocca, potrà aumentare il Pil. Si sa, l’economia è neutra e cinica. È il suo grande limite. È il grande limite dei numeri applicati agli uomini, degli algoritmi che credono di prevedere i nostri destini e i nostri gusti, di quello che Dave Eggers definisce il comunismo informativo. Noi siamo però bustocchi veri, italiani veri. Soprattutto liberi e complessi. Non disdegniamo il Pil che cresce, ma i disastri preferiamo combatterli e prevenirli. Oggi vogliamo soprattutto essere uomini che preparano la Busto del Futuro all’altezza dei bustocchi e degli italiani di ieri e di oggi, e di ciò andiamo orgogliosi. L’economia non ha sentimenti, gli uomini sì. Non fermiamoci , come ci ha ricordato Monsignor Pagani a Ferragosto, all’emozione. Se l’emozione non ha voce, noi ce l’abbiamo e la useremo. E perché non pensare di organizzare, magari in contemporanea con “Ul Dì di Bruscitti” il convegno della cucina popolare italiana? Magari insieme ad un seminario sull’uso corretto del cibo contro gli sprechi e per la Colletta Alimentare, il banco, le scuole e le imprese? Per intanto vigiliamo. Stiamo con gli splendidi tecnici, vigili, medici, volontari di questi giorni. Facciamo in modo che dal bosco, sarebbe meglio dire sottobosco, non escano volpi, volpini e volponi liberi di razzolare sui terreni fertili della ricostruzione. Ma per ora, insieme, prepariamo le felpe con su scritto “Busto Amatrice Italia”, rigorosamente Made in Italy e Dress Care. Buon appetito!
In questi giorni è avvenuto un piccolo miracolo. Dopo il gesto di domenica, anche Kevin Prince Boateng mi è risultato simpatico. E, per un attimo, l’ho sentito bustocco. Qualcosa sta davvero cambiando…