“Il basket siamo noi”. Ma ora la storia dovrà compiersi con i numeri

La storia ancora non è compiuta. I titoli dei giornali hanno celebrato su diverse colonne l’ingresso dei tifosi nel pacchetto azionario della vegliarda e nobile Pallacanestro Varese. Spazio meritato: in cotanta epopea cestistica, mai la beneamata creatura biancorossa aveva visto tra le fila dei suoi proprietari singole persone dotate solo di passione e della volontà di dare un piccolo contributo economico ad un affetto sportivo che ha cresciuto – e continua a crescere – generazioni di varesini.

La storia, però, lasciamola da parte, almeno per il momento: se con la nascita di Varese nel Cuore, il consorzio che ha salvato la pallacanestro sotto al Sacro Monte, la Città Giardino era stata capace di indicare davvero la via, prima in Italia, della sostenibilità economica applicata allo sport, con il meritorio “Il Basket siamo noi” ha piuttosto colmato una mancanza. Di “supporter trust” la pallacanestro italiana non è a digiuno: esperienze si ricavano a Trento, a Cantù, a Pistoia, a Siena, a Roseto degli Abruzzi, a Treviso e, con numeri meno importanti, anche a Brindisi e a Trapani. A Trento gli associati sono 700, a Cantù circa 300, a Siena e a Treviso chi ha aderito ha concretamente resuscitato la società. A Pistoia sono stati raccolti soldi importanti, a Roseto – attraverso i tifosi – si cercherà di tornare ai fasti di un tempo. Qual è il punto? È che con tutta questa “concorrenza” la storia ha solo un modo di compiersi: con i numeri. La città del basket, come ama definirsi Varese, è ora chiamata a non dirsi bugie: dimostri al mondo che è capace di trovare almeno 1000 persone disposte a fare un piccolo sacrificio per un amore grande, per uno dei connotati che l’hanno resa celebre. Ovunque.