In pochi secondi la morte ha strappato a un’intera comunità uno dei suoi più amati custodi. Fabrizio Sessa è morto giovedì. 54 anni, padre di tre figli, era quello che il burocratese definisce medico di base, la tradizione chiama medico del paese, ma che noi tutti ricordiamo come medico di famiglia. Il primo e più importante interlocutore per ogni genere di disturbo, fastidio, dolore. Da anni si prendeva cura di me e dei miei cari. Mi riceveva in ambulatorio,
ad Azzate. Fuori, un corridoio turbolento e affollato. Dentro, il silenzio, la pace, l’ordine. Fabrizio parlava poco, a bassa voce. E ascoltava molto. Era tutto fuorché un dispensatore di pillole e certificati. Le indicazioni e i consigli che dava erano sempre accompagnati da spiegazioni approfondite, dettagliate, chiare, accessibili a tutti. Mai sbrigativo, mai superficiale, sempre attento, preciso, con quel tocco di disinvolta dolcezza che lo rendeva unico. Dire addio al proprio medico è duro, difficile da accettare. Ci si sente subito indifesi, più soli. È come se ci avessero rubato lo scudo, lacerato gli abiti più caldi. E ora le raffiche di vento ci investono, ci frustano. Orfani del nostro dottore, cercheremo un altro porto sicuro, in cui gettare l’ancora, nell’auspicio di trovare un altro tutore della nostra fragilità. Consapevoli di quanto ancora conti. Di quanto solido e vitale si confermi il tessuto connettivo dell’appartenenza, della riconoscibilità, della relazione costante, affidabile, presente. Perché tablet, smartphone e linee veloci ci porteranno sempre più lontani. Ma solo il senso di comunità che Fabrizio incarnava potrà farci sentire a casa.