Bebe era una bimba, il giorno in cui entrò nelle nostre vite, ma aveva già la capacità di travolgere tutto – la gente, la vita, la sfortuna – con la forza di un uragano. Impossibile non venire conquistati dalla sua storia, dai suoi occhi e dal suo sguardo: impossibile non volerle bene così, a scatola chiusa, senza il bisogno di trovare un motivo per farlo.
Quella bimba ora è cresciuta ed è salita sul tetto del mondo, con una medaglia d’oro che la incornicia e la illumina facendola ancora più bella di quel che è. Quella bimba è cresciuta, ha scritto un libro, si è fatta conoscere, è andata in tv e in radio, l’Italia ha imparato a prendere in prestito un po’ della sua forza. E ieri sera in tanti (anche qui in redazione, ma per davvero) hanno pianto con lei. Chi è Bebe, cos’è Bebe, ormai lo sanno tutti: e tutti hanno il diritto di sentirsi partecipi di questo trionfo, nessuno escluso.
Anche noi, certo. Che abbiamo avuto la fortuna di conoscerla e, soprattutto, abbiamo avuto la fortuna di conoscere i suoi genitori. Perché è giusto dirlo, è giusto scriverlo proprio oggi: la storia di Bebe è anche la storia di papà Ruggero e di mamma Teresa. Due persone forti? No, molto di più. Due persone che ognuno dovrebbe avere il diritto di incontrare, anche solo per andarci a mangiare una pizza: per ascoltare quel che hanno da dire, per ammirarli.
Due genitori che hanno avuto la forza di prendere decisioni difficili, di sconfiggere la paura, di tirare su una bambina (una ragazza, una giovane donna) come Bebe, di creare una famiglia dove i problemi si affrontano con i sorrisi e di fare una squadra (la sorella Maria Sole, il fratello Nicolò) da medaglia d’oro tutti i giorni, tutti i giorni.
Bebe ha vinto, e ognuno ora dica quello che vuole. Dica che da questa ragazza avremmo tutti da imparare, dica che è un esempio da seguire, dica che i nostri problemi di fronte a lei scompaiono. Ognuno dica quello che vuole. Noi pensiamo a Roberto Bof, che ieri sera era lì a Rio.
E pensiamo alla frase di Bebe, quella che è diventata un grido di battaglia: «La vita è una figata». Facciamolo nostro, fatelo vostro. Ah: e grazie, Bebe.