Non c’è legge, deterrente, prevenzione che tenga. Non ci sono esempi sanzionatori che insegnino. Non c’è niente, ma proprio niente, che contrasti l’incoscienza criminale, quando l’incoscienza criminale decide di prevalere.
Questo non è il primo pensiero che viene alla mente dopo la tragedia di viale dei Mille a Varese. E’ il secondo. Il primo è il dolore per la perdita d’una giovanissima vita, la pietà per i familiari e gli altri affetti cari a chi c’era
e non c’è più, infine la resa al destino, che quando vuole portarti con lui, ti porta comunque e dovunque. D’accordo sul fatto che rassegnarsi sia sbagliato. Bisogna credere che il male sia rimediabile, e un non precisato bene sia raggiungibile. Però di fronte a tragedie come questa si resta senza tutto: senza l’adatta voce consolatoria, senza l’incisiva voce di indignazione, senza la convincente voce della speranza. Cala il silenzio, un pesantissimo silenzio, e basta. Come un mantello di ovatta così spesso da assorbire qualunque grido e ogni disperazione.
Non c’è nulla, non c’è nessuno che potrà restituire Giada a quanti le erano nel cuore e l’avevano a cuore. C’è qualcosa che può restituire un po’ di dignità umana a chi l’ha perduta. Il riconoscimento della colpa, la sua espiazione sino in fondo, l’attivarsi con il massimo impegno nella cura pubblica per limitare sofferenze come questa, nell’auspicio che sia possibile.
Altro d’aggiuntivo lo strazio, al quale le lacrime non danno sollievo, non chiede. Una carezza a Giada, un abbraccio a coloro che di Giada condividevano i sentimenti più dolci. Forse uno di questi, il più malinconicamente segreto e nascosto a tutti, è che morire giovani significa esistere per sempre.