La Raggi che dice no alle Olimpiadi 2024 perde un’occasione. Avrebbero rilanciato Roma. Pericolo d’affarismo e corruttele? Lo si sventa con misure acconce. Le responsabilità van prese, non scansate. Poi non è vero che i residenti dell’Urbe aborrono l’evento. Al contrario: i sondaggi dall’inizio dell’anno testimoniano il contrario, l’ultimo con la schiacciante maggioranza dell’85 per cento. La futura sindaca, durante la campagna elettorale, promise un referendum tra i cittadini: si sarebbe affidata al verdetto. È seguito il nulla.
Che errore e che delusione. Un Paese cui tocca rinnovarsi e crescere non può mancare simili opportunità, la paura della speculazione si batte con il coraggio dell’intraprendenza. Se no, non si fa più niente. Né le Olimpiadi né un marciapiedi. Chi vuol cambiare deve metterci la faccia e l’abilità. Proporre, osare, confrontarsi; discutere, mediare, intendersi. Questa è la politica. Maroni, di fronte al ventilato rifiuto capitolino, indicò tempo fa l’alternativa di Milano/Lombardia. Ne conferma la praticabilità. Ma gli ostacoli sono evidenti. Primo: Milano dopo l’Expo s’è già data altre vocazioni europee e mondiali e sta investendo in tal senso. Secondo: è senza impianti sportivi d’avanguardia. Una soluzione ardita sarebbe d’affidarsi a risorse private invece che pubbliche: lo fece nel 1984 il comitato organizzatore di Los Angeles, preso atto che i canadesi del Quebec erano quasi arrivati al fallimento in seguito ai dispendiosi Giochi invernali. Un’idea utopistica? Chissà. Però tentar non nuocerebbe, di fronte a una rinunzia penalizzante per tutt’Italia sul piano turistico/economico. Milano compresa. E Varese pure (si parva licet).