Le capocce di Kangur, Johnson ed Eyenga, in rigoroso ordine di posto dal corridoio al finestrino, svettano ben distinte dai sedili blu griffati Ryan Air, un po’ come quelle montagne che si alzano direttamente dalla pianura, segnandone la fine. Come tanti Gulliver nella compagnia aerea dell’isola di Lilliput, il loro viaggio – così come quello dei 10 compagni e dei marcantoni dello staff (non si può certo asserire che Paolo Moretti e Paolo Conti siano bassi, ecco…) non sarà dei più comodi, ma scorre tutto sommato veloce. Bergamo-Riga, andata: una “pennica”, un po’ di musica nelle cuffiette e qualche chiacchiera, mentre Dolomiti prima e Alpi austriache poi lasciano presto spazio a una marea di nubi che si dissolverà solo sui cieli della Polonia.
Non ci sono più le trasferte di una volta: con il Direttore, durante l’attesa al gate A6 di Orio, ci si abbandona al ricordo. Coldebella ne è fonte inesauribile, ben spalleggiato dall’eterno Ferraiuolo, epoche diverse di evoluzione sui campi ma stessa nostalgia di un basket che non c’è più. Come i charter per muoversi da un parquet all’altro, benefit quasi scontato prima dell’incombere della crisi economica variamente declinata sia all’aviazione civile che alla pallacanestro. Non era tutto rose e fiori nemmeno allora, però: Claudio rammenta con un brivido nella voce le tratte verso est sugli apparecchi sovietici Aeroflot, non il massimo in termini di sicurezza, e un viaggio (ai tempi della sua permanenza bolognese) sull’aereo privato dello Zalgiris di Kaunas, con i bagagli tenuti al grembo durante il volo: i lituani ospitarono i virtussini, ma la stiva non era così spaziosa.
Scene da una partenza: Moretti, con quel mezzo sorriso eternamente pensieroso, si beve un caffè, i suoi vice Conti e Vanoncini parlottano animatamente dietro a una colonna, Ferrero ha la stretta di mano sincera, gli americani si divertono nel provare una poltrona che fa i massaggi, i senatori (Bulleri e Cavaliero), più seri, si scambiano impressioni. Due ore e trenta più tardi c’è il freddo a consegnare il biglietto da visita: «Io non lo sopporto» ci confessa il capitano,
mentre Pelle si trincera dietro a un cappuccio della giacca a vento che ne aumenta ulteriormente i centimetri e “Sciascia” Avramovic ritira il suo bagaglio dal nastro. La planata sul Baltico, poco prima, era stata un tuffo tra tonalità scure (il blu del mare, quello della notte già calante alle quattro del pomeriggio e il grigio delle nuvole), attenuate solamente dal bianco di una neve che ha coperto precocemente tutto, “qui su al Nord”. Terra di basket, più o meno: una gigantografia della stella locale Kristaps Porziņģis (giocatore dei New York Knicks) fa capolino nei corridoi del terminal, di fianco a un distributore automatico di… ciabatte. Ce lo fa notare, da acuto osservatore qual è, coach Vanoncini, corredando l’indicazione con la mostra di una foto appena scattata in cui è ritratto un paio di scarpe: «Le scarpe di Pelle – ci annuncia con un ghigno – Praticamente un ossimoro…». Fa freddo “qui su al Nord”, ragazzi.