Referendum, quella scossa che la ministra Boschi forse non ha dato. Tanta gente che voleva entrare al teatrino Santuccio, sì. Tanta attesa ed entusiasmo per la “lady di ferro” del governo Renzi, è vero. Ma ci si chiede se basterà per spostare quei consensi decisivi per il Sì. È vero, i sondaggi pre-elettorali hanno già dato sufficienti dimostrazioni di scarsa affidabilità, dal voto sulla Brexit a quello delle presidenziali americane, ma il “sentiment” prevalente è che il No stia conducendo la partita.
E all’elettorato del Sì, accerchiato da un multiforme schieramento avverso, serve una scossa, una motivazione in più per dare il tutto per tutto. E di fronte ad una platea composta in gran parte da militanti Pd e da sostenitori già convinti del Sì, ci si aspettava che la ministra estraesse qualche “asso” politicamente rilevante da far spendere a chi da oggi dovrà, come ha chiesto la stessa Boschi, «educatamente molestare» i propri colleghi, amici e vicini di casa per convincerli a votare Sì. Anche perché quella del 4 dicembre è una partita che si gioca essenzialmente sulla capacità di mobilitazione dell’elettorato: nel 2006, quando la riforma sulla devolution di Berlusconi e Bossi fu stoppata dal popolo, andò a votare appena il 52% degli elettori. Eppure la chiave di lettura per strappare consensi nel Nord produttivo ce l’ha ben chiara il comitato provinciale del Sì guidato da Giuseppe Adamoli, quando ricorda quanto proprio questo Nord concreto, quello dei piccoli imprenditori che vivono quotidianamente lo “spread” in termini di efficienza della macchina pubblica rispetto ai concorrenti europei, sia affamato di riforme. Ora starà alla base del Pd farlo capire più chiaramente.