Su quel volo, quel maledetto volo, c’erano calciatori, giornalisti, tifosi, membri dello staff. 81 persone, tra cui 72 passeggeri e 9 di equipaggio (48 membri del club, 21 giornalisti). Alle 4.34 italiane di martedì mattina, sul suolo colombiano, l’aereo che era decollato da Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, a seguito uno scalo tecnico, si è schiantato al suolo. I superstiti sono sei, solo sei. E la cronaca ora lascia spazio a poche parole in questi casi, a poche interpretazioni, se non quelle relative alle cause che hanno portato alla caduta dell’aereo. I giocatori della Chapecoense non ci sono più, ed ora resta soltanto il ricordo di questa squadra, di questa piccola grande favola calcistica, che appartiene un po’ a tutti noi.
Appartiene ad ogni calciatore brasiliano, in Brasile e nel mondo, appartiene ai tifosi di calcio, da Chapecò al resto del pianeta e fino anche a Varese. Sì, Varese, che ha eletto a suo simbolo un giocatore brasiliano: Neto Pereira, verdeoro timido, di poche parole ma di grandissima umanità, cuore, silenziosa passione. Non c’è molto da capire o da spiegare rispetto a questa tragedia, non c’è molto da commentare, poco da aggiungere.
Neto è nato a General Carneiro, nel Mato Grosso, molto lontano da Chapecò, la città della Chapecoense. Non conosceva i giocatori della Chape, non conosceva nessuno su quel volo. Un brasiliano come Neto, però, può farci capire meglio di chiunque altro cosa si può provare in giorni come questi. «È difficile da dire o da spiegare a parole come mi sento io e come penso ci sentiamo un po’ tutti. Sì, sono brasiliano ma credo che questo lutto sia di tutti quanti, di tutto il mondo del calcio. Per quanto mi riguarda è un dramma incredibile ed una tristezza unica».
Per un calciatore, forse, lo è ancora di più: «Forse sì. Soprattutto per noi che viaggiamo spesso, che prendiamo aerei e ci spostiamo continuamente, questa è una tragedia che può capitare a chiunque. Non puoi sentirti estraneo a ciò che è successo ed è appunto per questo che mi sento colpito in maniera ancora più forte, e non solo per essere brasiliano. Vedo alla televisione i volti delle famiglie ma anche quelli dei tifosi, e vedere così tante persone soffrire così mi rattrista parecchio».
Neto conosceva la Chapecoense, ha visto e vissuto la sua crescita vertiginosa nelle categorie del calcio verdeoro: «Sì, perché alla fine anche dall’Italia io seguo sempre il campionato brasiliano e così ho seguito la crescita bella e rapida di questa squadra, fino alla finale di Copa Sudamericana, che avrebbero giocato in questi giorni. Avevano fatto un bel salto negli ultimi anni. Il mondo del calcio brasiliano ora è in grande sofferenza, ma come ho detto prima non credo che questo dramma riguardi solo il Brasile. È successo anche al Torino e l’Italia porta nel cuore da sempre il ricordo del Grande Toro. Ora tutto il mondo soffre, prega per loro e si stringe attorno alle famiglie».
Proprio nelle ultime ore, l’Atletico Nacional, che avrebbe affrontato i brasiliani nella finale, ha chiesto di lasciare alla Chapecoense la vittoria della Copa Sudamericana. Le squadre del campionato brasiliano, unanimi, hanno avanzato la proposta di non far retrocedere la Chape per tre anni, garantendole così un futuro calcistico.
Tanti i motivi per onorare la memoria di questa squadra: «Credo che, a prescindere da queste iniziative che trovo lodevoli in un momento così tragico, la Chapecoense verrà ricordata per sempre. Al di là delle scelte che verranno fatte, dalla Copa Sudamericana alla non retrocessione, che ora contano poco. Perché non c’erano solo giocatori su quel volo, ma anche membri dello staff, giornalisti, tantissime altre persone. Secondo me, non servirà un modo particolare per ricordarli, il loro ricordo sarà sempre vivo. In me e in tutti quanti».